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L’Altro Mondo – Quinto Giorno

Pubblicato: 19 ottobre 2007 in L'Altro Mondo

Quinto Giorno

 

La mattina seguente si svegliò e si guardò intorno, era tutto finito, sorrise di nuovo e abbracciò il cuscino, poi di nuovo si ricordò che aveva un appuntamento con la sua fidata (almeno a prima vista…) compagnia; così, felice, si alzò e baciò sua madre, fece colazione gustandosela, come non faceva più da giorni, salutò tutta la famiglia dopo essersi preparata e si precipitò in strada per salutare i suoi amici.

 

Le sembrò, guardandoli da lontano, che un alone di tristezza aleggiasse su di loro, e ciò fu confermato quando li raggiunse.
Alcuni di loro stavano piangendo, Michael guardava un punto fisso ma sembrava l’unico meno sconvolto, così cercò chiarimenti da lui riguardo allo sconforto che attanagliava la comitiva: «ancora non hai saputo. Potevi guardare almeno un telegiornale siccome ne parlano tutti oramai…». Comprese che si trattava di qualcosa di particolarmente grave, e mutò l’espressione del suo viso da sorridente a preoccupata: «stanotte, verso le 2 o le 2.30, Bruno è morto…».
I suoi occhi si aprirono e lo sconcerto gli trattenne le palpebre, si coprì la bocca con una mano, non credeva a quello che gli era stato detto, e odiava il modo in cui gli era stato detto, Michael intanto continuò: «è stata trovata la sua auto schiantata contro un albero, in fiamme, ora è completamente distrutta, eppure dicono che forse non è stato un incidente, la metà sinistra del suo viso infatti era stata scarnificata in un modo mostruoso, totalmente, le ossa erano pienamente visibili».
Fran fu sconvolta da queste notizie, eppure qualcosa non la fece piangere, un qualcosa trattenne le lacrime dentro di lei, riuscì solo a esternare il suo dispiacere a Michael, balbettando, poiché sapeva che era il suo migliore amico, ma la voce del suo ragazzo la sconcertò profondamente: le aveva consigliato di seguire un telegiornale, ma anche le sue espressioni erano quelle di chi guarda i fatti dall’esterno come se non avesse mai conosciuto la povera vittima dell’incidente, contraddistinte da una freddezza non rara ma unica.
Poi pensò forse che era talmente sconvolto da non poter provare più emozioni precise, così lo abbracciò per donargli conforto, ma il suo pensiero venne distrutto dall’azione seguente del ragazzo che si mosse velocemente e disse: «allora ragazzi, andiamo a fare questa passeggiata, Fran è qui ora», era calmo come poche volte avevano potuto notare, e tutti lo seguirono guardandolo però sbalorditi per “l’iceberg” che mostrava di essere.
E tale rimase per il resto della mattinata, e così lo lasciarono quando si salutarono tutti poco dopo, poiché non avevano una gran voglia di passeggiare dopo quello che era successo.

 

Quando fu a casa Fran non sapeva a cosa pensare, non voleva immaginare che il suo sogno fosse in qualche modo collegato a quello che era successo, ma non riusciva a non pensarlo, tutto quadrava: nel suo sogno l’essere che aveva le sembianze del suo amico Bruno era scomparso per sempre, bruciando e mostrandole infine le sue “due facce”, e probabilmente proprio nella stessa ora della notte il suo amico Bruno, quello in carne ed ossa, era morto, schiantandosi contro un albero, la sua auto era finita in fiamme, bruciando in parte anche il corpo, il suo viso però era stato distrutto da una qualche forza esterna.
Tutto era terribilmente ed angosciosamente combaciante (naturalmente nelle giuste proporzioni tra mondo e sogno…); rabbrividì e aprì gli occhi più che poteva, stava tremando mentre la sua fronte cominciava a mostrare delle gocce di sudore freddo: quello che aveva visto quella notte era davvero sogno? Poteva mai essere una sorta di visione, che le aveva predetto il futuro del suo amico? O un qualche collegamento con la mente dell’altro? Tutto le sembrava assurdo eppure ci doveva essere una zona del suo cervello che le permetteva di vedere quelle cose, che la portava in un mondo onirico parallelo, poiché quelle visioni non potevano di sicuro essere normali sogni.
Pianse tutta la giornata pensando al fatto che non avrebbe mai più visto una persona a lei cara; una vita intera, anche se fosse durata solo un altro istante, alla quale viene tolta la possibilità di vedere un uomo che significa qualcosa per l’altra persona, anche se si limitava magari a rimembrare qualche ricordo di poca importanza; ma pianse anche perché non capiva cosa le stesse accadendo a causa di quei sogni.

 

Di nuovo l’oscurità seguì la luce per prendere il suo posto, e Morfeo nuovamente abbracciò le valli di questo mondo per portare sollievo e dolore, vita e morte.
Quando pensò di riposare ancora le sue stanche membra non ebbe la stessa sensazione delle precedenti notti: sapeva di essersi liberata almeno dagli incubi notturni, anche se aveva constatato, con la tragica morte di Bruno, che erano cominciati quelli diurni, e non pensò al discorso che l’ormai defunta creatura alata le aveva fatto la nottata precedente con tono grave.
Si posò sul letto, soavemente, fissò per un attimo un punto preciso, mentre la sua mente lasciava scivolare via tutti quegli orribili avvenimenti, poi le sue palpebre calarono lentamente, coprendo la luce e le sensazioni che scaturivano dai suoi streganti ed emozionanti occhi verdi.

 

Dormì tranquillamente per un paio di ore, poi si ritrovò per l’ennesima volta in quell’immenso prato, coperto da un cielo totalmente limpido. Era sola in quella distesa paradisiaca, e questa volta non vedeva alcuna zona “oscura” stagliarsi malefica in lontananza. Dopo un po’ però notò una figura in lontananza, non era molto lontana da lei ma non poteva distinguere precisamente le sue sembianze.
Per un momento ebbe paura, poi decise di avvicinarsi, come se la curiosità l’avesse ipnotizzata: una volta vicina si rassicurò poiché questo nuovo ospite non possedeva ali o altre anormalità, era solo un corpo umano, e si rese conto che di fronte ad esso si ergevano due alberi colmi di fiori che cadevano dolcemente, come fosse una continua pioggia rallentata.
Quando gli fu alle spalle quello lentamente si girò, e Fran fu felice di notare che si trattava di una persona molto cara, il suo Michael, un uomo importante per lei.
«Michael sei…sei tu!? Non ci posso credere, io…finalmente è tutto finito…!».
L’altro non rispose, Fran gli accarezzò il viso ma ancora non ricevette risposta alcuna, anzi non fu rassicurante la temperatura che aveva il corpo dell’ospite del sogno: era piuttosto fredda per essere normale.
Nel frattempo, il corpo di Fran stava contorcendosi in un modo raccapricciante, già dall’inizio del suo sogno nonostante fosse cominciato come un sogno piacevole.

 

Per un attimo alla sua proiezione onirica tornò in mente il discorso della creatura alata: “se quel viso da te ritenuto malvagio ti causava dolore, ora lo farà un viso da te ritenuto amichevole, se una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…”; impallidì pensando che ciò che le era sembrata una vana minaccia poteva avverarsi davvero come una tremenda punizione, arretrò di due passi mentre anche la sua figura nel mondo dei sogni cominciava a tremare.
Subito Michael piegò il collo e la testa verso sinistra, mentre il suo sguardo rimaneva morto e privo di espressione, poi rialzò la testa e chiuse gli occhi: proprio in quell’istante la ragazza notò varie anomalie intorno a sé, di nuovo le distorsioni che le ricordavano una vecchia pellicola.
Dopo poco il ragazzo riaprì gli occhi, ora non potevano distinguersi le pupille, infatti entrambi i bulbi erano totalmente scuri, completamente privi di vita, come se stessero per scoppiare: Fran indietreggiò ancora, la paura di nuovo si divertiva ad accarezzarla sadicamente causandole brividi sia sul suo sinuoso corpo sia nella sua tormentata mente.
Michael d’un tratto cominciò a piangere senza lasciare alcuna espressione comparire sul suo volto, ma le sue lacrime erano sangue, e gli solcarono il viso lasciando una precisa scia sulle sue guance, e continuarono a scendere, lungo il suo collo, una dietro l’altra, segnando sempre di più il viso, rendendo quella scena insopportabile agli ormai distrutti, ma ancora splendidi occhi della giovane. Tutto intorno cominciarono a comparire nuvole oscure, che viaggiavano ad una velocità inimmaginabile, e di nuovo erano accompagnate da un frastuono assordante e riverberante: Fran si girò per scappare, ma si rese conto che, per quanti passi sarebbe riuscita a compiere, non si sarebbe mossa da dove si trovava, poiché qualcosa di imperscrutabile, come una forza paranormale, la tratteneva, e infatti la distanza tra lei e quella presenza inquietante non cambiò minimamente.
Non voleva girarsi per guardarlo in viso, ma il cielo divenuto rossastro le crollò addosso, come era accaduto due notti prima, anche se molto più velocemente, e delle braccia marce con forza uscirono dal terreno e dalle nuvole che le erano intorno, trattenendola, e costringendola a girarsi per fissare gli occhi sanguinanti del suo ragazzo.
Cominciò a piangere come non aveva mai fatto prima, ora che ogni speranza stava svanendo, poi ogni suono scomparve del tutto: pensò di aver cominciato a perdere i sensi, ma poi si ricordò di nuovo di quella frase, “una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…”.
Il dolore si era ormai impossessata del suo corpo e della sua anima, ma soprattutto dei suoi sentimenti, non poteva più sentire alcun rumore, però i suoi occhi potevano ancora vedere tutta quella infernale e rumorosa (nonostante fosse costretta a non udire nulla) scena, quindi pensò che quella minacciata punizione si stava compiendo in ogni minimo particolare, per farla soffrire dall’inizio alla fine; poi di colpo cominciò a piovere delicatamente, e potette cogliere lo scrosciare della pioggia accompagnato dal totale silenzio circostante, come se qualcuno volesse alleviarle la pena: subito le venne in mente che Bruno amava la pioggia, ma lei non aveva mai capito il perché, al contrario di questa volta, in cui ne colse al volo il dolce motivo.
Comprese il suo errore, e continuò a versare lacrime poiché non poteva più scusarsi con il ragazzo morto sulla Terra così come nella sua mente, quindi si prese tutte le colpe.

 

Ora il suo corpo si distese calmo per un’ultima volta, essa infatti non viveva più nel mondo dei vivi, dove non poteva più provare emozioni, bensì nel mondo dei sogni e degli incubi.

 
 

Ciò che non era segno del male, ma che si presentava come difficile da affrontare, fu allontanato poiché non poteva causarle piacere istantaneo, questo fu un grosso errore; quella creatura alata, il cui volto rappresentava il viso del suo caro amico, era solo il suo custode dei sogni, l’unica creatura che le avrebbe assicurato un equilibrio psichico: tutte le sue domande, tutte le sue espressioni, tutte le sue azioni, avevano lo scopo quasi di un insegnamento per quella splendida creatura che Fran era, lo scopo di farle prendere coscienza delle sue scelte e del mondo che la circondava, ma quello scopo era rimasto incompreso per una superficialità, che andrebbe cancellata da ogni essere in verità…

 
 
 

Ebbene ero solo un custode dei sogni, una creatura potente quanto insignificante, incompresa quanto importante, forse la cosa meno conosciuta dagli umani, nonostante io sia creato da loro stessi, e questo la dice lunga sulla capacità di governamento che l’uomo ha su gran parte del suo cervello.

Non mi conosci, ma ti osservo. La tua vita non è per me che un’ossessione. Ti seguo, scruto nella tua vita incessantemente, ascolto ogni tuo respiro, ogni battito del tuo cuore. Cosa sai, tu, di me? Nulla! Perfino la mia esistenza ti è ignota. Ma io ti conosco. Ho imparato ogni espressione del tuo viso, ogni smorfia, ogni dettaglio. Indovino i tuoi pensieri, conosco le tue ansie, le tue paure. Saprei perfino dirti quando ti radi male la barba. Sono qui, anche se non mi vedi. I miei occhi non fanno altro che osservarti. Non ho altro scopo che la tua vita, e quando sarà il momento, con un gesto semplice, me la prenderò. Un lampo e un ruggito saranno l’addio definitivo

.”

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PS: Grazie ad AutomaticJack per la frase finale (quella in corsivo!)…!

L’Altro Mondo – Quarto Giorno

Pubblicato: 18 ottobre 2007 in L'Altro Mondo

Quarto Giorno

 

Passò una giornata scialba come e, anzi, più delle altre: ormai la sua vita si svolgeva di più nel suo mondo degli incubi, come si poteva denotare dai suoi occhi iniettati di sangue, segno di vera e propria distruzione fisica e mentale, anche se l’ipnotizzante colore di essi rimaneva ancora vivo, come in segno di un’ultima speranza di vittoria contro quelle creature che ogni notte la terrorizzavano.
Vide di nuovo Michael, che notò il suo viso sconvolto e cercò di capire quali fossero i suoi problemi, senza ottenere però una risposta, cosa che lo fece irritare e addirittura lo portò a comportarsi male con lei, essendo una persona piuttosto cocciuta ed orgogliosa, “che non perde mai”, come diceva spesso con fierezza.

 

Continuava a vivere le sue giornate nel peggiore dei modi, bloccandosi spesso, fissando il nulla, e piangendo senza alcun motivo apparente.
E passò anche quella giornata così, scontrosa contro le creature del mondo esterno a causa di quelle del suo mondo interno, fino all’avvento delle tenebre che avvolsero la terra dopo la corsa per scacciare la soffusa luce del crepuscolo.
Dopo una a dir poco leggera cena, e dopo qualche altro momento struggente e pensieroso, cominciò di nuovo a guardare il letto con terrore, tenendo gli occhi incollati su quel materasso a momenti considerato malvagio anch’esso. Dopo un po’ però il sonno si dimostrò di nuovo più forte di lei, avviluppandola e trasportandola proprio verso quel luogo odiato.
Si accasciò subito, come se avesse dimenticato tutti i “pericoli” che correva facendolo. Oramai aveva dimenticato un sonno così forte, che non la trasportava da giorni con tanta foga verso quegli odiati mondi.

 

Quella notte inoltre cominciò a sognare prima delle precedenti: si trovò subito in quell’immenso campo fiorito, ma era come se il tempo corresse, come le fece notare di nuovo un movimento intorno a lei che le ricordò di nuovo una pellicola cinematografica consunta, e subito dopo questa immagine tutto attorno a lei scomparve come fosse stato bruciato via.
Si ritrovò in un luogo dove non si potevano distinguere un cielo o un qualunque tipo di suolo: era tutto dello stesso colore, una sorta di marrone, ma di una tonalità mai vista prima, e forse non esistente nel mondo umano. Si guardò intorno impaurita, e ancora di più si intimorì quando sentì un rumore continuo di passi, non particolarmente pesanti, ma che in quella situazione le sembrarono assordanti, e di conseguenza asfissianti a causa della paura che le infondevano.
Di colpo venne abbagliata da una luce forte che apparve davanti a lei, e quando riuscì a guardare di nuovo chiaramente, vide davanti a sé l’odiata creatura alata, ancora pronta a perseguitarla.
Mai in un sogno aveva provato sentimenti così forti, nemmeno nei giorni passati, rimase totalmente senza parole per un attimo, poi un forte odio le scoppiò dentro quando l’altro disse: «Allora… dovresti avere scelto piccola mia…».
La dolce bellezza della ragazza venne affiancata da una potente rabbia che scoppiò in un attacco inaspettato: «devi smetterla con queste maledette decisioni, te l’ho già detto, io ti odio, non voglio vederti, tu devi andartene dai miei sogni, io ti odio lo capisci? Solo ieri volevi che un mostro orrendo mi facesse a pezzi e ora hai ancora il coraggio di parlarmi?».
Venne interrotta, anche se con molta calma, dall’altra figura, che cercò di lasciarla ragionare, sfruttando anche movimenti molto delicati: «ma…io sono qui solo per te, per i tuoi sogni e per la tua vita…la creatura che ieri sera ti ha attirata a sé? Beh tu hai deciso di andare da lei, io ti ho porto la mia mano ma tu l’hai rifiutata…ma ho rimediato al tuo errore, ti ho lasciato una…una parte di me, un metodo per scegliere, se non lo hai fatto potremmo farlo insieme…ora…qui…».
La sua mano si distese di nuovo verso di lei, come volesse invitarla ad avvicinarsi, ma la giovane ancora optò per l’attacco diretto: «credevi davvero che mi sarei avvicinata alla tua mano? Sapevo bene che volevi ingannarmi –guardando il viso dell’altro per un attimo si fermò, pensando che forse stava commettendo un errore a pronunciare quelle frasi, ma una forza indomabile le era oramai divampata dentro e non riuscì in alcun modo a placarla-, tu mi hai condotta verso quella porta, tu hai invocato quella bestia immonda e mi hai abbandonata! Vattene via dalla mia testa!».
L’altro cercava ancora di spiegarsi, di fare capire alla creatrice di quel mondo che in realtà lui non aveva cercato in nessun modo di nuocerle: «Fran, cerca di ricordare, forse è solo una leggera dimenticanza, tu hai fatto la tua scelta, ma io ti ho lasciato una ultima possibilità…»
«Ma di cosa diavolo stai parlando?»
«Quando hai tentato di oltrepassare per la seconda volta quella porta, io ho lasciato un segno lì per terra…una piuma, molto particolare…dovresti averla messa nella tasca del tuo pantalone…». Prima di ricominciare ad attaccare colui che la aveva perseguitato per così tanto tempo, la ragazza si frenò e meccanicamente mise una mano nella tasca del suo jeans, e da quella estrasse proprio la piuma bicolore che aveva raccolto la notte prima.
Dopo un istante di sconcerto si rivolse all’altro con un tono confuso ma calmo rispetto a quello di poco prima: «non ricordavo di…averla posata qui…quindi cosa dovrei fare con questa piuma?» «Essa dipende da te, dalla scelta che farai, io lo capirò tramite essa. Ora cerca di ricordare, qui…con me…ti darò una mano io. Io non ho fatto altro che guidarti, non ho mai voluto causarti del male, vieni, stringi la mia mano, ti darò la possibilità di rivedere quello che è accaduto…».
Quando le porse la mano, la giovane perse totalmente il controllo delle sue emozioni e cominciò a colpire verbalmente il suo interlocutore: «io ricordo benissimo quello che è successo lo capisci? Vuoi ficcartelo in testa? Tu sei un maledetto bastardo, se solo penso a quello che mi hai fatto…! Mi avresti lasciata marcire in braccia a quel…quel coso che con una delle sue…zanne mi avrebbe trapassata, che solo con il fetore della sua putrida bava mi avrebbe uccisa…tu non lo capisci perché? Te lo dico io perché: sei una fottuta bestia proprio come quella che ho visto fuori da quella porta, tu sei uno di loro, un mostro pericoloso! Vattene, ora!».
L’altro, dopo avere inizialmente accusato il colpo con una smorfia quasi di dolore, dopo aver fissato senza alcuna espressione il viso della ragazza sporcato dalla rabbia più pura, guardò la mano destra dell’altra, la quale teneva ancora stretta la piuma; allargò gli occhi, poi mostrò un’espressione per metà preoccupata e per metà cattiva e decisa, infine con la faccia coperta prima dal dolore e poi dalla rabbia fissò i verdi e grandi occhi della ragazza, la quale di colpo placò la sua furia e venne presa da una sottile linea di paura che partiva dagli occhi misteriosi della creatura alata, e che la centrò in pieno, causandole orripilazione.
La sua voce cambiò, non era più quella dolce ed appagante di poco prima, ma una voce contraddistinta da una rabbia appena nascosta: «e così, a quanto vedo, hai deciso…la tua scelta è stata definitivamente fatta…»
«Ma cosa dici? Io non ho scelto niente, ho detto solo che devi andartene…»
«Per l’appunto –la interruppe prontamente, troncandole le parole e le emozioni-almeno sei stata coerente, in un certo senso, con le tue decisioni, nonostante io abbia cercato di distoglierti più volte…sei riuscita a cascare nella trappola della tua stessa paura…sei molto impressionabile, troppo debole, dovevo immaginarmelo…»
«Ma cosa diavolo vai blaterando? Ti ho chiesto soltanto di andartene e di lasciarmi vivere…e sognare…» «Si, vivere e sognare, ora che me ne andrò l’illusione sarà quella; è mai possibile che tu non ti renda conto dell’errore che hai commesso? Beh in parte hai ragione, io non sono stato sempre esplicito, però come hai potuto essere così cieca. Ti sei lasciata spaventare da un volto strano, malvagio ai vostri occhi, spero tu abbia pensato a cosa rappresentasse, non solo alla paura che ti causò, vero? Era solo un volto, per metà teschio e per metà potremmo dire conosciuto: cosa c’è di tanto cattivo in un teschio? Perché vi fa talmente tanta paura un pezzo d’osso, è in ognuno di noi in fondo. E quella voce…questa voce –di colpo cambiò il tono della sua parlantina, riprendendo quello di qualche sera prima che appariva malvagio a Fran, anche se pronunciò con essa solo queste due parole- davvero ti sei lasciata impressionare da una semplice voce, leggermente “inusuale”?»

 

«Erano qualcosa di mostruoso e tu dici che non erano nulla? Una voce che penetrava dalle orecchie fino al cuore e congelava il sangue, un viso per metà vivo e per metà morto…»
«Ognuno di noi è così, o forse vorresti negarlo? Almeno dicendomi ciò alleggerisci il mio compito, scegliendo da sola la tua pena: se quel viso da te ritenuto malvagio ti causava dolore, ora lo farà un viso da te ritenuto amichevole, se una voce ti causava angoscia, ora lo farà il silenzio…per sempre…».
Detto ciò alzò gli occhi verso l’alto e con una velocità assurda una vampata di fuoco lo avvolse, comparendo dal suolo sotto i suoi piedi, ma quello cominciò a ridere, sempre più forte, fino a che la sua voce non divenne di nuovo quella mostruosa e riverberante bandita da Fran poco prima.
Il corpo della ragazza, nel mondo umano, continuava a contorcersi in un modo inimmaginabile, mentre il sudore ghiacciato continuava a scendere grave lungo il suo viso provato dal dolore di quei giorni.
Nel mondo onirico invece la scena continuava, fino a che l’alato girò velocemente i suoi occhi verso quelli spalancati della ragazza: la sua faccia era di nuovo divisa in due parti, ma ora un ghigno malefico la rendeva ancora più insopportabile alla vista. Di colpo la sua figura divenne cenere portata via dal vento, e la piuma che aveva in mano Fran si dissolse con lui. Solo una piuma nera era rimasta dove il fuoco era divampato, perfetta e bellissima: la ragazza cercò di raccoglierla avvicinandosi timidamente, ma una ulteriore folata di vento la tramutò in polvere e la portò via.

 

Non si svegliò questa volta, e il suo corpo ritornò ad essere calmo e a riposarsi, ciò di cui aveva principalmente bisogno.

L’Altro Mondo – Terzo Giorno

Pubblicato: 17 ottobre 2007 in L'Altro Mondo

Terzo Giorno

 
Quando si alzò era distrutta non tanto per il sonno perduto, quanto per le nuove paure e i nuovi interrogativi che prendevano piede in lei: quei sogni dovevano pur significare qualcosa.
Cercò di evitare un confronto con i suoi parenti e per lo più ci riuscì, dovendosi preparare per uscire e per partecipare ad un incontro col suo gruppo di amici, come aveva fatto proprio due giorni prima.

 

Si vestì invero svogliatamente, e lasciò casa soprappensiero fissando il terreno per focalizzarsi su quello che poteva trovare nella sua mente.
Raggiunti gli altri puntò dritta verso Michael, incollando sulle labbra di quello un bacio che lo avrebbe zittito probabilmente per il resto della giornata: fu infatti lunghissimo ma a dir poco passionale.
Il ragazzo non proferì parola quando Fran gli disse che aveva bisogno di parlare con Bruno, il quale era arrivato in quel momento e aveva parcheggiato l’auto a pochi passi da loro: lo raggiunse in macchina e non gli diede il tempo di salutarla poiché attaccò subito un discorso veloce e preciso. «Ecco, Bruno, è meglio che non ci vediamo più per un po’, anzi è meglio anche evitare di parlare o scriverci, devo riflettere a fondo su di una cosa, poi quando ne sarò venuta a capo ti farò sapere io…», il suo viso era deciso e cupo, quello di Bruno preoccupato e già in parte triste, anche se riusciva a nascondere fin troppo bene i suoi sentimenti, volendo affrontare il problema razionalmente.
«Come mai mi dici questo? Ho fatto qualcosa? Qualche errore di cui stupidamente non mi sono reso conto? Dimmi tutto ti prego, sai che voglio parlare con te» si rese conto però che la ragazza non era troppo aperta al dialogo in quel giorno.
«No guarda, non è il caso ora di parlarne, te l’ho detto, poi ti farò sapere…».
Bruno fu sorpreso da quel discorso, ne rimase colpito e scosso, cercò ancora di replicare ma ciò che pronunciò non giocò a suo favore: «ma, Fran, ti prego dimmi cosa è successo, io non voglio farti del male, sono qui per difenderti…».
Non finì di pronunciare quella frase che venne subito interrotto dalla giovane: «no basta adesso davvero non mi va di parlarne, io vado ci vediamo».

 

Lasciò di colpo l’auto e il ragazzo rimase bloccato per quel comportamento, fissandola mentre le scappava dalle mani per correre dal suo ormai unico punto di riferimento, Michael.
Fecero così la loro solita passeggiata, questa volta però con Michael ancora stordito per lo scossone di poco prima, Fran ancora piena di paura per la nottata e Bruno incredulo per il discorso che gli era stato fatto, mentre altri amici ed amiche cercavano di comprendere perché fosse così “giù”, poiché si era staccato dal gruppo che seguiva i due fidanzatini.
La mattinata si concluse così come era iniziata, senza alcun interesse a proseguirla da parte di tutti. Coloro che solitamente davano vita a quelle passeggiate erano o turbati o tristi per gli avvenimenti descritti, e non riuscivano a farsi consolare dagli altri presenti. Michael quindi cercò di invitare ad uscire Fran anche quella sera ma la ragazza rifiutò, mentre era ancora avvolta nei suoi pensieri, e il suo fidanzato non insistette, forse ancora sotto l’effetto del bacio.
Tornarono tutti a casa, tutti per passare la solita giornata, tranne la splendida Fran, ancora occupata a cercare un significato per quei suoi sogni, e il triste Bruno, che focalizzava la sua attenzione ancora verso quel discorso.

 

Le ore passarono con la loro consueta velocità e la notte arrivò: Fran tremò al solo pensiero di doversi avvicinare di nuovo al letto, come se avesse visto la creatura che infestava i suoi sogni stesa su di esso ad aspettarla, ma poi si distese delicatamente coprendo la sua morbida pelle con le coperte, unico scudo esterno per il suo avvenente corpo.
Di nuovo il sonno si impossessò di lei, nonostante la sua mente non ne sentisse il bisogno in quel momento. Riuscì comunque a recuperare qualche ora di sonno, ma di sicuro furono di meno di quelle del giorno prima, le quali come già detto furono circa quattro.

 

Dopo poco si ritrovò di nuovo nel luogo apparentemente paradisiaco del primo sogno, l’immenso campo sovrastato da un cielo terso, questa volta era però più vicina a quella zona oscura che in passato la stava per far scappare dal sogno.
Guardava quella zona con odio e cercò di evitarla dopo averla fissata, poi di colpo vide ergersi ai suoi fianchi due immense mura che si innalzavano fino al cielo, cercò quindi di girarsi nella direzione che conduceva dall’altro lato rispetto alla zona coperta da quel cielo oscuro, ma di colpo apparse un altro muro che le chiudeva la strada anche in quella direzione: si rese conto di trovarsi in un corridoio a senso unico che l’avrebbe condotta direttamente verso quella zona odiata, e quindi pensò bene di non muoversi dalla sua posizione, appoggiandosi alle mura formatesi.
Purtroppo questa sua idea venne vanificata dopo qualche istante, quando si rese conto che proprio il muro dove si era poggiata si stava muovendo, e anche a gran velocità, verso quella nefanda zona. Tentò di fermarlo ma non ve n’era modo, quindi cominciò a correre con i suoi piedi notando che il muro si era fermato, come se prima avesse voluto solo invogliarla a muoversi. Era costretta a correre verso quella zona, e con tutte le sue forze.
Arrivata lì venne come annunciata ad un nuovo mondo da un lampo che toccò terra poco distante dalla sua posizione, e che fu subito seguito da un tuono molto potente e che causava uno strano effetto di riverbero.
Si sentì indifesa e impaurita, pensando che ci potessero essere altre creature, quasi certamente pericolose, in quel luogo. Notò poco distante da lei una casa e, dopo un dubbio iniziale, si precipitò verso essa sperando di trovarvi riparo.
Una volta entrata si rese conto che non poteva difenderla più di tanto, a causa delle mura piuttosto fragili, fatte di un legno ormai marcio forse per l’età, che ad occhio le sembrò addirittura antidiluviana, inoltre era completamente priva di qualsivoglia mobilio o suppellettile.
Dopo aver fatto un giro di ricognizione, tornò nel piccolo atrio principale per sorvegliare la fragile porta, ma fu colta da un forte spavento quando si rese conto che in un angolo di quella camera era presente la creatura che infestava ormai da troppo tempo i suoi sogni: il suo cuore cominciò a battere più forte che mai e, nonostante avrebbe voluto cacciarlo via, il fiato per pronunciare la benché minima parola le mancò non appena quello aprì le sue ali e alzò il suo viso, che mostrava un sorriso che ai suoi occhi parve subito malvagio, per fissarla.
La povera ragazza cercò di rintanarsi nell’angolo opposto a quello in cui si trovava la creatura che lei vedeva come un demonio dalla faccia conosciuta. Quest’ultimo abbassò le braccia e le ali e cercò di avvicinarsi alla sognatrice con un viso questa volta pulito.
Fran però cominciò a piangere cercando di allontanarlo nonostante non potesse ancora toccarlo: quello si fermò ma solo per un istante, e ricominciò subito ad avanzare verso di lei che era ormai in delirio dalla paura, con il viso totalmente coperto dalle lacrime.
Una volta raggiunta, la creatura alata si piegò sulle ginocchia per potersi avvicinare alla giovane e con una mano le accarezzò il viso con una delicatezza impensabile, asciugandole anche parte della faccia. Essa quindi si girò per guardarlo negli occhi senza fermare il pianto, e vide che un sorriso benevolo e solare era nato sul viso di colui che lei giudicava come un nemico: ciò riuscì per un momento a calmarla, fino a che di nuovo una vampata di paura si impossessò di lei, una paura quasi violenta, che la fece scattare in piedi per allontanare l’unico abitatore della casa all’infuori di lei.
I due continuarono a guardarsi, uno ancora sorridendo, questa volta con un velo di tristezza forse per la forte volontà che li aveva separati, l’altra invece smetteva in quel momento di piangere, ma era ancora affannata per la disperazione di poco prima.
Nessuno dei due parlò, solo il “Bruno alato” cercava di comunicare con lei tramite sguardi, poi proprio Fran si fece forza e cercò di dare inizio ad un discorso, in modo da non far terminare il sogno come tutti gli altri: «tu…tu cosa vuoi da…me…perché…perché ogni notte mi costringi a soffrire in questo modo…cosa ti ho fatto io, e perché ti presenti a me con…con il viso di una persona che…esiste davvero».
L’altro per un momento rimase confuso, o almeno questo si poteva evincere dall’espressione assunta dal suo viso e in generale dalla sua testa, che si piegò verso destra, come se non avesse afferrato le parole della ragazza, chiare nel significato ma tremolanti nell’espressione.
Dopo qualche sguardo l’uomo alato prese la parola: «cosa intendi dire con quel perché? Io esisto davvero, altrimenti non sarei qui davanti a te, Fran…».
La ragazza si sentì presa in giro dopo quella frase, e lo fece comprendere tramite il suo sguardo, a momenti feroce. Ma proprio in quel momento si rese conto che il sogno era troppo “vero”: mai aveva provato qualcosa del genere in vita sua, si sentiva intrappolata in quel mondo più che sentirsi padrona di esso, e mai aveva provato così tante emozioni differenti in un luogo creato dalla sua mente, cosa che lo rendeva ancora più reale.
L’altro nel frattempo continuò: «e, dimmi, cosa intendi dire con “soffrire”, perché mai dovrei farlo? Te l’ho già detto l’ultima volta, io sono qui per difenderti».
Fran avvicinò le mani alle orecchie come per non ascoltarlo, poi si avvicinò velocemente a lui e, mentre quello avvicinava le braccia per abbracciarla, la ragazza lo colpì ripetutamente in petto cominciando di nuovo a piangere e disse: «devi smetterla! Perché mi prendi in giro! Smettila! Ti odio! Qualunque cosa tu sia, ti odio!».
Quell’abitatore di sogni quindi, dopo averla osservata per qualche secondo, chiuse le sue braccia delicatamente attorno al suo corpo turbato per abbracciarla. La giovane lo lasciò fare mentre continuava a piangere disperatamente, ma trovò stranamente un appoggio mentale in lui, riuscì a calmarsi grazie a quell’abbraccio e grazie al sorriso di quella creatura, che vide spostando il suo viso verso l’alto: continuarono a fissarsi per un bel po’ di tempo, con gli occhi che parlavano per loro; in quelli di uno c’erano una sicurezza e una dolcezza che Fran non si sarebbe mai aspettata, giudicando anche dai suoi di occhi, ancora distrutti e supplicanti clemenza a quella creatura temuta ma ora in un modo molto più contenuto.
La paura la abbandonò del tutto, e spostò le sue braccia, piegate scomodamente sul petto dell’altro, attorno al suo corpo, potendo così sfiorare le sue morbide ali, e appoggiò la testa al posto della precedente posizione delle mani, stringendo il corpo dell’altro più forte che poteva. Sentì ridere leggermente l’altro che lasciò la presa e la ragazza, dandogli le spalle e allontanandosi verso l’angolo che occupava prima.
Di colpo l’uomo alato si girò e nel mentre pronunciò una frase: «ora devi solo scegliere…». Quando finì di voltarsi però il terrore saltò di nuovo ferocemente sulla già fortemente provata Fran: il viso dell’abitatore dei sogni infatti era diviso in due parti, metà teschio e metà uomo, così come aveva già visto altre volte.
Camminando all’indietro si chiuse di nuovo nell’angolo, con il fiatone e gli occhi sbarrati, mentre il suo corpo, nel mondo esteriore, stava contorcendosi in un modo a momenti sovrumano, cominciando a sudare freddo. Le sue mani si aprivano in continuazione, come volessero fugare un dolore troppo forte. Nel frattempo, nel mondo onirico, quella figura vivente nella sua mente si piegò verso il basso coprendosi il viso con le mani, poi dopo pochi secondi tornò a guardare la ragazza: ora la sua faccia era di nuovo interamente umana, ma Fran diffidava ancora di lui. Essa si alzò da terra, essendo scivolata per suo volere lungo il muro, volendo a momenti scomparire, ma rimase in quell’angolo, dal quale poteva fissare l’altro e poteva guardare la porta.
L’altro intanto riprese la parola: «devi solo scegliere, non devi temermi. Scegli, me –a questa parola indicò se stesso- o loro –e indicò la porta con la mano aperta e distesa-. Ora, sta a te».
La cosa che più la preoccupò fu la voce che pronunciò la parola “loro”, quella voce malvagia che aveva sentito già in passato, rimbombante e accompagnata da un forte effetto di riverbero.
Non aveva capito cosa volesse intendere con quella domanda così lo fissò, aspettando una risposta, ma dopo qualche istante qualcosa cominciò a colpire pesantemente la porta, che stranamente non crollò. Urla strazianti cominciarono ad accompagnare quei possenti colpi, urla non appartenenti al pianeta in cui fisicamente lei viveva, ma nemmeno alla sua mente: erano qualcosa di raccapricciante anche se ascoltate a gran distanza, e colpivano direttamente zone remote del cervello, passando bruscamente e malvagiamente per gli organi adibiti alla percezione del suono, ferendoli immancabilmente.
Eppure la figura alata sembrò conoscere bene quel suono, e lo ignorò come fosse stato un comune rumore, attendendo risposta alla sua domanda.
Quando la giovane era sull’orlo di una crisi, il frastuono e i colpi continui cessarono; Fran quindi fissò la porta e poi diede un’occhiata al ragazzo, quindi si scaraventò sul pezzo di legno con uno scatto velocissimo, aprendola al volo e trovandosi all’esterno.

 

Qui la follia cominciò a stendere le sue fredde e malvagie mani sulla mente di quel povero essere, a causa di quello che vide: il cielo era diventato rosso scuro, e ciò che gli rimaneva di normale erano le venature scure che dovevano rappresentare probabilmente le numerose nuvole del luogo, e il rumore di sottofondo era qualcosa di anormale per il continuo cambiamento di frequenza che si poteva avvertire.
Tale visione bastò a farla fermare e a guardarsi intorno, ma ciò che le fece mancare il respiro fu il battito del cielo: dopo qualche istante infatti tutto ciò che era sopra di lei cominciò a battere rumorosamente e lentamente, come se fosse intrappolata in un enorme cuore. Quei battiti disgustosi continuarono senza mai fermarsi, e dopo poco si rese conto che l’intero cielo si stava avvicinando a lei, comprimendosi come una stella prima dell’esplosione in nova.
Il fiato le mancò del tutto, come se l’ossigeno fosse stato succhiato via da quel mondo, si girò cercando di nuovo la creatura che l’aveva posta di fronte a quella scelta, forse era l’unico che poteva aiutarla, ma quando si voltò lo vide di profilo ancora all’interno della casa: egli mosse il capo annuendo ad una negazione, poi le voltò le spalle e davanti a lui una luce intensa apparve, e in essa egli scomparve, alzando le gambe una alla volta e infilandole in quello squarcio luminoso.
La ragazza cercò di urlare ma il fiato era sempre di meno e tutto ciò che riuscì a pronunciare fu un leggero gemito, e coprendosi la bocca inciampò all’entrata della casa senza però subire alcun danno. Prima di svenire si rese conto che la creatura onirica appena scomparsa le aveva lasciato una piuma, per metà bianca, la metà destra per la precisione, e l’altra metà nera. La strinse in mano non appena sentì di nuovo un grido straziante dietro di lei, quando si girò notò il cielo vicinissimo, a momenti tutto intorno alla casa, ma l’urlo proveniva da un essere ripugnante, alto molto di più di qualunque altra creatura umana e dalla figura mostruosa, probabilmente dalla pelle squamosa, molto robusta e dal cranio duro già alla sola vista.
Fissandolo dalla paura si rese conto che la fronte era come divisa in due parti distinte ma solidamente unite tra loro e che inglobavano gli incavi adibiti agli occhi nelle creature “normali”: quest’essere infatti non aveva alcun tipo di occhi, eppure puntava con estrema precisione la sua preda, sbavando avidamente dalla sua bocca, dotata di denti molto più aguzzi di un qualunque altro animale conosciuto nel mondo “reale” (cos’è reale…?).
Non appena quel mostro lanciò un secondo urlo la fanciulla si svegliò di colpo, con la fronte coperta da un sudore freddo, gelido, e cominciò a piangere cercando di non farsi sentire da nessun abitante della sua casa. Aveva dormito qualche ora di più rispetto alla giornata precedente, ma un sonno talmente tormentato non le sarebbe comunque servito a riposare le sue membra ormai a pezzi da tempo.

L’Altro Mondo – Secondo Giorno

Pubblicato: 16 ottobre 2007 in L'Altro Mondo

Secondo Giorno

 

La mattina dopo si alzò dal letto senza provare il benché minimo affanno per il mancato riposo; cercò di nascondere, riuscendoci in buona parte, quella paura radicata ancora nelle sue memorie. Fece colazione lentamente, ripensando a quello che aveva provato, scambiò poche parole con i suoi familiari adducendo come scusa il fatto che non era riuscita ad addormentarsi presto, ed era abbastanza stanca.
Decise poi di scendere a fare una passeggiata da sola, pensò che magari cambiando per un attimo ambiente sarebbe riuscita a non pensare a quel sogno, o che forse sarebbe riuscita ad incontrare qualcuno con cui scambiare quattro chiacchiere, cosa che la avrebbe probabilmente aiutata; decise però di non prendere appuntamenti, voleva fare qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che forse la avrebbe aiutata nel suo intento, come le diceva un qualche pensiero nascosto.
E così fece infatti, camminò per molto ed incontrò due persone, due “conoscenti”, con i quali scambiò appena qualche battuta, niente di speciale di certo dal distoglierla dal suo pensiero fisso. Camminò molto e senza rendersene conto, poiché la sua mente si posava in continuazione su quella strana visione: voleva significare qualcosa in particolare? Perché le era stata posta quella domanda? E soprattutto perché quella creatura era Bruno, certo in una versione nuova e terrificante? Solo dopo un bel po’ di tempo si rese conto di aver camminato talmente tanto da trovarsi ora in una zona molto trafficata, e ripensando a tutta la strada che avrebbe dovuto fare sbuffò, distogliendo così la sua mente per un istante.
«Ehi Fran che ci fai quaggiù??», questa frase, preceduta da un leggero colpo di clacson, bastò a farla girare verso un’auto che riconobbe subito e che le fece volare subito alla mente il colore nero perfetto delle piume dell’ala sinistra della creatura che aveva “infestato” il suo sogno la sera prima: il paragone le saltò alla mente forse non a caso, perché la macchina era guidata proprio da Bruno. Per un attimo rimase attonita vedendolo, ma poi la ragione prese il sopravvento, e dunque rispose al suo amico: «beh è una storia…lunga da raccontare, ora stavo tornando a casa comunque» ed accompagnò a questa affermazione uno dei suoi indescrivibilmente belli e disarmanti sorrisi.
«A casa? Beh ne hai di cammino da fare, ti va un passaggio così magari mi racconti questa “storia lunga”? Eheh».
La giovane accettò l’offerta e il ragazzo ne fu felice.
Quando quella entrò in macchina non concesse però il solito saluto al ragazzo: era ancora presa da quello che chiamava sogno, e così quasi per avere una certezza si avvicinò a Bruno accarezzandogli la guancia sinistra in un modo delicatissimo e a dir poco improvviso.
Quello, che aveva sempre nascosto i forti sentimenti che provava per lei con successo, per un momento provò un leggero brivido sulla pelle, e quando Fran gli sorrise dolcemente (anche per la certezza acquisita di essere davanti al suo vecchio amico) lui le accarezzò la mano, ancora posata sulla sua guancia, e sorrise a sua volta.
Non appena si spezzò l’attimo il ragazzo tornò come al solito a guidare, parlando con lei, dicendole che aveva portato la sua fida auto ad un autolavaggio (forse proprio per questo le ricordò le piume nere della creatura dei sogni appena la vide), e chiedendole come mai si trovasse proprio lì.
La solare ragazza, forse presa dalla sua constatazione, non rispose a quella domanda, e fu subito ripresa da Bruno: «Ehi, perché non mi rispondi?!» disse con tono scherzoso, ma queste semplici parole bastarono a far rabbrividire la ragazza che si girò spalancando i suoi ipnotizzanti occhi, che divennero intrisi di una folle paura.
Aveva di nuovo sentito le parole pronunciate dalla voce mostruosa, ed erano state dette proprio dalla persona più “vicina” a quella creatura: «ferma…ferma la macchina» balbettò, e Bruno confuso acconsentì e accostò, pensando che la bella avesse dimenticato qualcosa dietro di sé.
Ella però aprì la portiera e si catapultò fuori cadendo, rimanendo paralizzata sul marciapiede e fissando il ragazzo ancora all’interno.
Bruno, preoccupato, uscì dalla vettura e si avvicinò a lei, chiedendole amorevolmente cosa le fosse successo, ma quella cercò di bloccare le braccia del ragazzo, il quale si era limitato a gesticolare dolcemente, cercando di rassicurarla una volta notata la paura che si proiettava violentemente da quegli amati occhi.
Fran non riusciva più a parlare, e muoveva solo la testa accennando ad un “no”, mentre cominciava a piangere: Bruno allora si avvicinò a lei non potendola vedere soffrire così tanto. Mosse appena le braccia e la giovane mollò la presa, così potette sfiorarle le spalle chiedendole premurosamente cosa fosse successo.
Notando però che stava tremando pensò che stesse perdendo conoscenza, così la abbracciò dolcemente, ripetendole: «Fran, ci sono io qui, non preoccuparti, non succede niente» con una voce a dir poco rassicurante.
A quel punto la ragazza si riprese con un movimento appena più veloce della testa, e alzò quest’ultima per guardare negli occhi Bruno: notò subito la sua preoccupazione e capì che era causata da sé stessa, ma soprattutto notò che erano gli occhi innocenti del suo vero amico, non di una creatura demoniaca. Per scaricare la tensione e per rassicurare quello, che inizialmente aveva adempiuto a questo compito per lei, lo strinse in un abbraccio a sua volta, quasi asfissiante, che fece riacquistare un certo calore ai due, una distrutta dalla paura l’altro tremante dalla preoccupazione. Rientrarono nella nera vettura non preoccupandosi dei pensieri degli altri attorno e cercarono di sorvolare su quell’avvenimento, anche se non ci riuscirono.

 

Una volta a casa della ragazza i due si abbracciarono di nuovo, questa volta in macchina, per salutarsi definitivamente. Si lasciarono ancora un po’ sconvolti ma probabilmente, da quello che si poteva cogliere dai loro sguardi, si volevano più bene di prima.
Bruno non potette fare altro che pensare a quell’accaduto, alzando poi il volume dell’autoradio e correndo a casa, Fran invece cercò di dimenticare mentre saliva le scale per tornare a casa. Passarono entrambi la serata da soli. Fran oramai non si interessava più del suo sogno, forse perché l’incontro con Bruno l’aveva aiutata, e decise di andare a letto presto, per recuperare il sonno della notte precedente.

 

Dopo aver salutato i familiari presenti, tornò in camera sua, spense le luci e si posò con dolcezza sul suo letto.
Mai prese sonno così velocemente, e riuscì ad avere alcune ore di piacevole riposo, non disturbate né dalla sua mente né da avvenimenti esterni.
Dopo circa quattro ore però venne di nuovo catapultata nella dimensione di un sogno e, come mai le era successo prima, questa volta aveva memoria di quello che aveva visto la notte prima, lo ricordava chiaramente, come fosse accaduto quella stessa notte.

 

Questa volta si trovava all’esterno di una enorme villa, proprio davanti al portone d’ingresso. Le ispirava sicurezza quella bellissima abitazione e decise di aprire la grandissima porta, e una volta varcata la soglia si trovò in un immenso salone, totalmente pieno di persone le quali vestivano indumenti d’epoca ed avevano tutte il viso coperto da una maschera: quelle figure si girarono tutte contemporaneamente non appena la proprietaria del sogno aprì rumorosamente il grande passaggio. Erano davvero tantissimi e tutti come se stessero aspettando l’inizio di una musica che li invitasse a ballare.
Si avvicinò a loro e notò che erano tutti molto cortesi: si appropinquavano a lei quasi come se volessero chiederle il piacere di un ballo, attratti da quella figura che avrebbe ammaliato qualunque essere.
La ragazza quindi si sentì lusingata e sorrise, e aveva intenzione di capire chi fossero quegli uomini, poiché avrebbe potuto forse conoscerli: questo fu probabilmente l’errore principale della serata, sarebbe stato meglio non sapere.
Quando infatti uno dei tanti “cloni”, per via della maschera simile a quella di bambole d’epoca, si avvicinò alla giovane, essa con delicatezza gli tolse la copertura del viso, ma di nuovo la paura si impossessò di lei, e lasciò cadere l’oggetto a terra frantumandolo. Certo non si svegliò poiché il suo corpo, dopo lo spavento occorso la notte precedente, era ormai abituato a simili avvenimenti, ma esso tremò lo stesso, come scosso da una scarica elettrica.
Quando scoprì il viso di quell’uomo infatti, notò che esso non aveva faccia: né occhi, né naso, né bocca, niente che potesse far affermare che quella cosa di color bianco candido fosse un viso di una persona.
Di nuovo gli occhi della sua proiezione onirica si spalancarono, ma ancora incredula la fanciulla si girò e vide una figura femminile che le si avvicinava: provò a togliere la maschera anche ad essa ed anche questa non aveva faccia, così come le altre due figure che si lasciarono strappare l’oggetto. Proprio in quel momento tutti i presenti nell’enorme salotto tolsero la maschera mostrando all’attonita Fran la loro totale uguaglianza: il panico si impossessò della sognatrice che cominciò a scappare verso il centro del salone dopo che un fulmine aveva squarciato il cielo all’esterno, come aveva potuto constatare scrutando attraverso le gigantesche finestre della camera.
Mentre correva tutti quegli esseri la seguivano ruotando la testa come se potessero vederla, ma non accennavano ad avvicinarsi ad essa, la lasciarono correre riuscendo così a farle aprire un corridoio verso una piccola rampa di scale che collegava la parte bassa del salotto con un piano rialzato di circa mezzo metro: al di sopra delle scale le sembrò di vedere una figura che indossava ancora la maschera, l’unica tra le migliaia oramai presenti (le figure infatti sembravano sempre di più in quell’enorme spazio). Inizialmente la notò ma non ci fece caso, poi man mano che si avvicinava ad essa non riusciva a non fissarla, come se ne fosse ipnotizzata. Una volta alle scale dovette fermarsi al secondo gradino: comparve un leone dal portamento maestoso che passò davanti alla figura in maschera, quasi volesse difenderla, e poi si fermò in posizione seduta accanto alla gamba sinistra di quello.
Era arrivata l’ora per quell’essere di togliere la maschera, e così fece, turbando ulteriormente il precario equilibrio che manteneva Fran ancora in quel mondo: era di nuovo Bruno, che di nuovo mostrò le due ali dal piumaggio differente.
Il suo viso era rivolto in basso, a metà tra il terreno e il dolce viso della ragazza, ma gli occhi erano come al solito puntati negli occhi di lei, come se volesse scrutarle l’anima ma a sua volta come se si lasciasse studiare.
Dopo pochi secondi di sguardi, la giovane donna notò una sorta di movimento negli occhi dell’altro: inizialmente pensò che si stesse sbagliando, ma poi non potette notare che un fuoco stava bruciando nei bulbi dell’altro, cosa che la fece ulteriormente terrorizzare.
Di un colpo la creatura alata alzò la testa e allargò le braccia e tutte le strane figure senza viso che circondavano quel luogo acquisirono il viso di Bruno, il quale pronunciò alcune parole con la terribile voce che aveva fatto scappare dal sonno la fanciulla solo la sera prima: «Devi rispondermi» disse, e fece paralizzare Fran.
In quell’istante tutto intorno a lei svanì eccetto il leone, che si era alzato e le si era avvicinato: la ragazza stava per piangere, era al limite di sopportazione ma non riusciva a scappare via quasi fosse stata paralizzata per davvero; venne però rassicurata dai movimenti di quell’affascinante felino, il quale la annusò e le accarezzò il corpo, partendo dalla gamba sinistra e girando intorno ad essa per poi porsi di nuovo davanti a lei.
Dopo ciò riuscì a muoversi di nuovo, e una lacrima leggera le sgorgò dall’occhio destro, come per liberazione; poi sorrise e cercò di fare una carezza all’animale, il quale di colpo cominciò a sanguinare dal dorso. Fran quindi ritirò la mano e si coprì la bocca, e vide il sangue della bestia sgorgare da più zone del corpo e sempre più copioso; infine esso si girò verso di lei, e Fran potette notare la mutazione del suo viso: proprio come il sogno del giorno prima, la faccia del leone era per metà normale e per metà scheletrica.
La ragazza, terrorizzata come non mai, si coprì completamente la bocca per trattenersi e cominciò a piangere più forte che poteva non appena l’animale prese fuoco e scomparì. Subito dopo sentì due mani che leggere le toccavano i gomiti: accennò appena a girarsi verso sinistra poiché quel tocco non le causò paura ma le ispirò sicurezza, poi sentì una voce leggerissima all’orecchio destro.
Era Bruno (o almeno il Bruno abitatore dei sogni) che aveva avvicinato la sua testa a quella di Fran e le sussurrò: «non preoccuparti, non voglio farti del male, sono qui per difenderti…».
Quella frase fu pronunciata in un modo delicatissimo. Ella smise di colpo di piangere (anche se il suo viso rimase coperto di lacrime) e cercò di girarsi per guardare il suo amico, il quale ora sfiorava leggermente col suo viso la spalla destra della ragazza. All’improvviso però sentì allentare il tocco delle mani di Bruno e si sentì circondata dalle risate di quegli uomini senza viso scomparsi poco prima, nonostante non potesse vederli. Così si svegliò di nuovo di colpo, senza balzare ma spalancando gli occhi.
Rimase bloccata in quella posizione fino al mattino seguente.

L’altro Mondo – Primo Giorno

Pubblicato: 15 ottobre 2007 in L'Altro Mondo
In occasione del nuovo Pc (non è vero, la decisione era avvenuta mesi fa, ghghgh), guardate che vi metto su questo cantuccio di inferno dimenticato anche dal suo padrone (tutto ciò per dire blog…capito niente?).
Signori e Signore, niente popò di meno che il mio primo non primo racconto. Aspettate, lasciate che vi spieghi (prima che mi aggrediate alacremente).
Il mio primo racconto era in realtà un vecchio e antico raccontino di 3 o 4 paginette, che era nato come racconto, poi stava trovando un seguito, e poi ha trovato molto di più (sperando che le mie sinapsi lo assecondino…). Di conseguenza, non considerando quel vecchio lavoretto come racconto vero e proprio, questo che comincio ora a pubblicare qui sul blog è in effetti il primo racconto "per slittamento"…ma in fondo è pur sempre bene ricordare le proprie origini!
 
Comunque, tornando a fare i seri, perché in realtà ve lo vado a postare? Beh, guardate alla sinistra del mio blog, nell’elenco degli amici. C’è un tale che si fa chiamare Yoyo, o ogni tanto Giorgio, che dopo aver letto questo umilissimo scritto ne è rimasto innamorato. E mi ha minacciato che se non lo mettevo su veniva a prendermi a casa.
Ora ho aspettato tanto per stuzzicarlo (Caldo), ma alla fine mi ha convinto e finalmente mi accingo a metterlo su. La cosa è abbastanza inutile, in fondo di quei miei 3 lettori, questo scritto dovrebbero averlo già letto in due e mezzo, quindi…ma in fondo, li abbiamo pubblicati tutti, perché non lasciare un piccolo spazio anche al mio racconto ad ora più breve?
Ah, un’ultima cosa: se non vi va di leggervelo sul blog "che brucia gli occhi", ricordatevi che il comodo file pdf è sempre pronto da scaricare e tutto bello agghindato qui alla sinistra del blog, nell’elenco "In Evidenza".
Non vi lascio ad un mio giudizio, ve la dovrete vedere voi…E ora, Enjoy!
 
 
L’Altro Mondo
 
 
 

Primo Giorno

 
Si svegliò dolcemente, sorridendo, aspettando che anche l’ultima parvenza del tocco di Morfeo svanisse dal suo viso. Abbracciò il cuscino col braccio destro per l’ultima volta, poi si ricordò della sveglia: non aveva accennato nemmeno ad un minimo suono, eppure era stata sempre puntuale ai suoi appuntamenti.
La prese di corsa per rendersi conto che era in ritardo di troppo, conoscendo Michael, il suo fidanzato, spesso troppo generoso in lamentele. Così, improvvisamente presa dalla fretta, si alzò e scrollò di dosso le ultime “fatiche” della nottata, per andare in cucina a consumare il suo pane quotidiano.

 

«Buongiorno» le disse sua madre appena la vide così “indaffarata” e già così pimpante.
«Ciao mamma, la sveglia non ha suonato, sono in ritardo» fu la risposta secca e mirata.
Fece una colazione a dir poco essenziale, e poi corse in bagno per lavarsi, operazione ben più importante e che le rubò più tempo, poi volò in camera a vestirsi senza ascoltare quello che la genitrice le stava dicendo.
Anche quella “vestizione” occupò un po’ di tempo, poiché fu interrotta dal severo squillare del suo cellulare: era proprio Michael che la ammoniva per perdita di tempo, e lei a momenti arrossì, affrettandosi ulteriormente. Nonostante tutto riuscì nel suo intento: era come al solito bella al pari di una ninfa che, in controtendenza col mito, corre dal suo Apollo. E dopo aver accennato un saluto a sua madre fu subito dal suo dio, che trovò attorniato da una corte di servi: in quel momento i due li consideravano solo come sottoposti poiché tutto ciò che riuscirono a fare fu incrociare i loro sguardi.
«Ah ah, Fran buongiorno…ci siamo svegliati a quanto vedo» disse ironicamente Michael, il quale però accettò le scuse della sua ragazza che come giustifica presentava il non adempimento del compito assegnato alla sua sveglia.
E di certo subito si fece scusare tramite un tenero bacio che fece presto rammollire il sarcasmo del bel ragazzone.
Subito dopo però dovette scendere dall’Olimpo per salutare quelli che solo ora aveva focalizzato come amici: passò in rassegna quasi tutti i presenti, cercando di evitare con qualche finta di sguardo quelli più antipatici a suo giudizio (con quale criterio…? Bel problema).

 

Salutati tutti quelli in piedi si rese conto che l’auto sulla quale molti si appoggiavano era quella del migliore amico del suo ragazzo: fu subito sicura di conoscerla dal colore nero, e poi intravide prontamente che era ancora abitata dallo stesso Bruno. Si avvicinò per salutarlo con un amichevole bacio naturalmente ricambiato dall’autista del gruppo, il quale le chiese un ragguaglio sulle sue condizioni psicofisiche, questione presto liquidata con un “tutto bene” accompagnato da un sensuale sorriso. Dopo tale saluto/benedizione erano tutti pronti per andare a compiere la loro consueta passeggiata scacciapensieri, durante la quale Fran e Michael si sarebbero di nuovo alienati dal resto della compagnia.

 

Vista l’ora decisero quindi di prendere un aperitivo, non tanto per il bisogno di mettere qualcosa sotto i denti, ma solo perché era “di moda” farlo. Finito questo piacevole obbligo alcuni componenti del gruppo decisero di avviarsi verso la loro abitazione, forse stanchi della lunga camminata, e tra loro anche Michael aveva interesse a ritirarsi.
«Non preoccuparti, te la riporto io a casa…» gli rispose Bruno, quando l’altro giovane si chiese se doveva accompagnare Fran a casa, come era d’altronde suo dovere.
Anche lei acconsentì ad un breve passaggio in auto con Bruno. E risultò anche un buon motivo per scambiare due chiacchiere con una persona che le stava simpatica.

 

«Allora ci vediamo stasera…» concluse Bruno una volta arrivati sotto casa della ragazza, la quale con un sorriso e un bacio si congedò, e una volta fuori dall’auto pensò all’ultima frase: ci vediamo stasera, eppure non si era parlato di un raduno di gruppo anche per quella sera.
Probabilmente Bruno si era sbagliato preso dalla conversazione di poco prima.
Eppure non aveva commesso errori, almeno non involontariamente, quella frase gli era uscita fuori dalle labbra spontaneamente, era come se avesse fissato un appuntamento poco prima senza rendersene conto.
Poi però si riprese da quel pensiero pensando proprio a Fran: quella ragazza gli piaceva da sempre, non solo per il suo aspetto, troppo facile per la sua disarmante bellezza, ma anche sotto un punto di vista sentimentale poiché sapeva che lei teneva nascoste dentro di sé molte di quelle sensazioni che anche lui nascondeva da tanto. Sentiva che tra loro due c’era una certa attrazione soffocata dal rapporto tra lei e Michael, e tra la forte amicizia che lo legava con quest’ultimo, e questo lo faceva soffrire in silenzio, come ormai era abituato a fare, da troppo tempo.

 

Il pomeriggio lo passarono ognuno alla propria abitazione, il sole sorvegliava in un modo troppo ferreo le loro vite, tiranno come pochi.
Velocemente quindi venne la sera che cercava di fargli trovare una via di fuga da quell’avvinghiante calore, e tutti decisero di sfruttare la carta del riposo: nessun componente del loro gruppo, o almeno degli amici più stretti, lasciò casa, preferendo andare a dormire presto per recuperare il sonno perduto nello studio dei giorni precedenti.
Solo Bruno e Fran scambiarono qualche messaggio con il diabolico cellulare.
«Come mai mi dicevi che ci saremmo visti stasera?»
«Niente, devo essermi semplicemente confuso…in cambio però ci stiamo sentendo via sms….», e questo fu solo uno dei passaggi tra i due.

 

Ad una certa ora tutti, chi prima chi dopo, decisero di far riposare le spossate membra, e Fran lo fece ben prima di Bruno.
Quella notte però segnò il destino di tutti loro.
Il sonno li prese e li portò diretti fino al mattino seguente, ma alcuni di loro si fermarono lungo il cammino ad ammirare interessanti zone della loro mente, delle quali probabilmente neanche loro sapevano nulla.
E proprio Fran fece probabilmente il sogno più interessante ma allo stesso tempo più strano di tutti. Uno di quei sogni che prendono presto la notte, un sogno molto intenso, ma sconcertante per la grandezza del mondo che rappresentava.

 

D’improvviso si trovò in un immenso campo verde pieno di fiori ma totalmente privo di arbusti. Si stendeva per chilometri e chilometri senza la benché minima interruzione verticale. Sopra di esso c’era un cielo azzurro come non lo aveva mai visto, senza una nuvola o un volatile che lo rendessero meno monotono; ma poi, guardando più in fondo, verso sinistra, si rese conto che d’improvviso quell’azzurro si fermava, lasciando spazio ad un cielo oscuro indescrivibile, che avrebbe causato angoscia a chiunque.
Per un momento sembrò che la sua figura nel sogno stesse per svenire dall’orrore che quell’oscurità gli aveva causato: la vista su quel prato stava quasi per svanire, poi si rese conto che ci fu come una distorsione dello spazio intorno a lei, come una vecchia pellicola cinematografica ormai quasi totalmente logora.
Dopo vide come una leggera luce davanti a lei, ma fissandola meglio riconobbe una figura umana in essa, la quale le si avvicinò librandosi nell’aria. Quando fu più vicina potette riconoscere i suoi contorni e infine un leggero brivido la colse quando vide che quella figura aveva due ali, una fatta da soffici piume bianche e ben distesa verso l’esterno, l’altra fatta da oscure ed attraenti piume nere, meno distesa dell’altra, leggermente ritratta verso il corpo della creatura.
Rimase sbalordita vedendo una simile apparizione, poi spalancò gli occhi quando riuscì a notare il viso della creatura: era una figura più che conosciuta. Era Bruno.
Ne rimase felice per il fatto che sapeva di essere al sicuro, ma il modo in cui si presentava continuava a turbarla: lo guardò negli occhi appena si posò poco lontana da lei, gli sorrise e cominciò ad avvicinarsi. Ma di colpo venne interrotta da una sua domanda secca che la colse totalmente impreparata: «lo ami davvero?».
Lei per un attimo rimase bloccata davanti a tale domanda, non si mosse più fino a che quello non alzò la testa prima fissa verso il terreno e ora diretta verso il viso della fanciulla, in modo che i due sguardi si incontrassero.
La giovane potette riconoscere gli occhi del suo amico, e lesse in essi una certa severità la quale però nascondeva probabilmente una bontà malcelata, come si poteva evincere dal mezzo sorriso che mostrava con la sua bocca. Vedendolo la giovane si fece di nuovo coraggio e cercò di nuovo di muoversi verso quello che doveva essere il suo amico, ma quello di colpo alzò la testa a metà tra il cielo e il viso della ragazza, lasciando però gli occhi fissi verso quelli di lei. Subito dopo si alzò di nuovo in volo muovendo appena le ali e dirigendosi di nuovo verso la direzione dalla quale era apparso, ma si fermò di nuovo a terra, porgendo le spalle alla ragazza.
Quella sentì crescere il timore che aveva avuto appena la figura era apparsa, e corse verso di lui cercando un riparo certo, ma appena si avvicinò abbastanza da poterlo guardare chiaramente, l’essere dalle sembianze conosciute si girò lentamente e alzò il viso di nuovo verso la faccia di Fran: e ora che poteva rivederlo in viso la giovane perse tutte le sue certezze e fu presa da una paura talmente forte che nemmeno lei probabilmente sarebbe riuscita a descrivere.
Un sentimento così forte non si era mai impossessato di lei, e questo accadde sia nel mondo che stava vivendo nei suoi sogni sia nel mondo esterno: anche il suo bellissimo corpo vibrò a quella visione generata dalla sua mente.
Non appena la creatura mostrò di nuovo il suo viso lei non potette non notare la divisione netta e precisa della faccia in due emisferi. La parte destra era quella che aveva visto già prima, il suo caro amico Bruno proprio come lo conosceva, mentre la parte sinistra era un teschio privo di qualunque brandello di carne o pelle.
Prima di saltare di colpo dal letto riuscì ad ascoltare le parole di quella creatura: «perché non mi rispondi»
Ma la voce che le pronunciò fu orribile quasi quanto la bocca divisa in due parti dalla quale uscivano; anch’essa era come formata da due tonalità diverse, la prima forse era quella ascoltata poco prima e conosciuta, l’altra era come un suono gracchiante e cupo, il quale sommato all’altra diede vita ad una sorta di voce rimbombante e mostruosa.

 

A questo punto non potette fare altro che svegliarsi di colpo sedendosi sul suo letto e cercando di recuperare fiato per lo spavento provato nella sua mente poco prima, girandosi intorno per cercare quella figura e allontanarla in qualche modo.
Quando si rese conto che era stato solo un incubo si rituffò sul suo cuscino ma la paura le rimase impressa e i suoi splendidi occhi verdi ne furono il segno evidente: rimasero spalancati come due fanali nella notte atti a far notare il malfunzionamento dell’intero corpo tramite la loro cadenzata intermittenza. Era ancora presto per svegliarsi, eppure non riuscì più ad incontrare l’abbraccio leggero del sonno, anche cercandolo.