Gli Aldilà – Capitolo 2

Pubblicato: 5 agosto 2009 in Gli Aldilà
Della serie: il racconto è mio e i capitoli li metto quando voglio…tiè!
 
 
Capitolo 2

 
Le gambe volarono giù dal letto, puntellò le braccia sul materasso, e continuando a respirare rumorosamente si guardò intorno. Era stato solo un sogno, un maledettissimo incubo.
Ma non ne era ancora certo, scese dal letto e cominciò a controllare ogni angolo: per prima cosa passò in cucina, lentamente: aveva paura di ritrovare quei maledetti insetti, l’inizio di quell’incredibile viaggio, a quanto sembra onirico.
Ma il frigo era ben chiuso, e non c’era assolutamente niente per terra. Un sospiro, di sollievo e non solo, venne fuori rumoroso dalla sua bocca, sospinto dal basso, fin dai polmoni.
Non si fermò alla cucina ovviamente, proseguì verso il breve corridoio e si girò subito verso la porta di ingresso.
Cattiva idea.
La porta era chiusa, questo lo capì già prima di avvicinarsi per controllare: due catene spesse e arrugginite la tenevano ben salda, disegnando come una grossa X che abbracciava tutto quello che una volta era un passaggio, come se consigliassero di stare alla larga da quell’unica uscita.

 
La paura cominciò di nuovo ad abbracciare il giovane, che riprese a guardarsi intorno cercando una via di scampo. Un rumore strano, un tonfo e poi uno strascichio metallico, provenì dal bagno, e il ragazzo senza pensarci due volte corse verso la porta chiusa dalle catene, urlando aiuto e continuando a colpirla con i pugni chiusi. Inutilmente. Nessuno poteva sentirlo a quanto pare, e la porta non cedeva per niente.

 
Solo quando si fermò, sfinito e in lacrime, notò che i rumori erano del tutto scomparsi. Ingollò la saliva, inspirò forte e trattenne per un po’ l’aria. A quel punto si alzò e si avviò proprio verso il bagno, un passo alla volta, pronto a scattare via nel qual caso un pericolo qualsiasi gli si fosse parato dinnanzi all’improvviso.
Arrivato infine nell’altra stanza, spinse la porta delicatamente con un piede: non c’era nessuno, niente di strano, almeno a quella prima occhiata dall’esterno.
Di nuovo inspirò un gran quantitativo d’aria, come se si trattasse di coraggio che fluttuava intorno alla sua bocca. Solo allora spalancò la porta ed entrò prepotente in un luogo che in altre circostanze sarebbe stato a dir poco familiare, non di certo un tale generatore di paura ed indecisione.
Si girò subito a guardare dietro di sé, se qualcuno si fosse nascosto proprio dietro l’ingresso del bagno. Poi si girò a guardare lo specchio, e solo allora notò, riflessa, la parete alle sue spalle: proprio sopra la sua vasca da bagno c’era un altro di quegli strani tunnel luminosi, proprio uguale a quello che aveva sognato prima, all’interno del suo frigo. L’aveva dunque sognato? Era tutto vero? Stava ancora sognando?

 
Cominciò a tremare con veemenza, quasi una crisi epilettica si era scatenata nel suo cervello scosso, e prima di cadere per terra riuscì ad aggrapparsi al lavandino e a tenersi, mentre i suoi occhi, come ipnotizzati, continuavano a fissare quel buco giallastro apparso nel muro del suo bagno, laddove una volta c’erano delle semplici e simpatiche piastrelle.
Respirava rumorosamente, e con quel respiro dispnoico riuscì a calmarsi, a rimettersi in piedi. Il suo sguardo era cambiato, e ora sul viso gli si erano disegnate rabbia e un pizzico di esasperazione.
Per la terza volta, tirò dentro quanta aria riusciva a trattenere nei polmoni, e poi di corsa entrò di nuovo in quel maledetto buco, che per la seconda volta si chiuse al suo passaggio.

 
Per un breve tempo sentì come se stesse cadendo lentamente, quasi fluttuando, e l’ambiente intorno a lui era ancora quell’oscurità abbacinante che aveva già incontrato nel sogno (sogno?) precedente. Ma dopo poco gli sembrò di essersi fermato, i suoi piedi sembravano fermi, come se avessero raggiunto il terreno dopo un breve salto.
Proprio poco dopo quel momento, intorno a lui cominciò a delinearsi un nuovo panorama: il cielo rimase oscuro, con venature verdastre, una sorta di morbosa aurora. Oltre a quegli sporadici squarci verdi, a spezzare l’asfissiante monotonia di quel cielo v’erano alcune stelle, o almeno quello sembravano: dei piccolissimi punti leggermente luminosi, a lontananze elevatissime, come posti lì dal pennello di un pittore totalmente pazzo, che ha perso il senso della distanza, e non solo quello.
Dopo aver fissato quel cielo, affascinante e disgustoso allo stesso tempo, spostò lo sguardo all’ambiente intorno a lui, e si rese conto che anche quello godeva di proporzioni inumane.
Si ritrovò in una immensa pianura, che presentava ogni tanto solo dei piccoli poggi seguiti da lievi avvallamenti, quasi come se fossero i corrispettivi di quelle pennellate verdi e di quelle macchie luminose sul cielo, anche questi posti lì da una mano di un essere superiore, lì solo per cambiare le caratteristiche di quel terreno, così simile a sé stesso in ogni punto.
Non sapeva se conveniva proseguire, camminare in quella distesa sconfinata poteva portare a niente, o forse poteva portarlo ad un nuovo “portale” per provare ad uscire da quell’incubo, o che lo trasportasse in un altro ancora.

 
Nel mentre continuava a guardarsi intorno, sperando di intravedere qualcosa che potesse seguire, una luce in quel paesaggio oscuro e patologico che gli indicasse una strada, un sentiero differente da quella valle tutta uguale a sé stessa.
Ma la sua attesa ottenne solo una cosa: il ritorno di quella voce senza padrone, lì a regalargli nuovi enigmi, lì a collegare quella visione di poco prima (sembrava in effetti fosse passato poco tempo, ma chi poteva dirlo) a quella attuale.
-Spesso, al mattino, quando ci svegliamo a causa dei fastidiosi e freddi strilli di quelle cose che chiamiamo sveglie, ci riaddormentiamo subito dopo. Il sonno sa essere più forte della nostra volontà a volte.
E capita tantissime volte che in quell’istante cominciamo a sognare, sogni lunghissimi, che sembrano durare ore, a volte storie interminabili che poi terminano solo quando la nostra mente prende consapevolezza di quel suo stato, si ricorda di quel nostro bisogno, si sveglia dentro sé stessa per farci svegliare anche all’esterno.
Ed è lì che rimaniamo sbalorditi: spesso non è passato nemmeno un minuto dal richiamo della sveglia. Tutte quelle storie infinite sono state raccontate in un lasso di tempo brevissimo, come una vita intera che scorre a velocità inaudite nella nostra mente.
Dicono che la morte deve essere proprio così…-
I discorsi che quella voce intraprendeva cominciavano a divenire macabri, e la cosa non aiutava Billy, che preferì non rispondere.

 
Non appena quella voce smise di parlare, tante figure sfocate apparirono nella vallata; Billy si girò a destra, a sinistra, dietro di sé: erano ovunque, moltissime.
Erano come tanti fuochi fatui, alti quasi due metri, che si spostavano evanescenti.
Alcuni erano più vicini a lui, altri più lontani, ma erano tutti della stessa altezza, sia quelli più vicini che quelli più lontani, eppure qualcosa gli suggeriva che quelli più lontani non erano anche più alti di quelli più vicini a lui. Sentì dentro che in quel luogo non esisteva una qualsivoglia regola prospettica, che in realtà l’unica regola vigente era quella che imponeva di ingannare l’occhio piuttosto che assecondarlo.
Il ragazzo fu però solo poco spaventato della comparsa di quelle “fiamme” eteree: in fondo non sembravano una grande minaccia, quanto piuttosto delle presenze fragili.
Ad un certo punto si cominciò ad avvertire come un ronzio costante, che man mano aumentava di intensità; solo dopo poco si riuscì a capire che erano come tante voci umane sovrapposte, solo quando alcuni frammenti di parole pronunciati da timbri di voce differenti cominciarono a sovrapporsi a squarci di risate, sommessi colpi di tosse, timidi sussurri.
Solo quando alcune di quelle figure vaganti fecero per avvicinarsi a Billy, in quel momento egli cercò di conferire con la voce abitante delle sue visioni: -dove sei? Cosa o chi sono queste figure? Da dove provengono queste voci sovrapposte? È un altro dei tuoi scherzi?-
Una di quelle figure, la più vicina a lui, gli si affiancò: -credi ancora che io scherzi? Eccomi qui, mi cercavi vero?-
Billy lo fissò, cercando di carpire una qualche immagine fissa sotto quell’inconsistente figura, ma tutto ciò che riusciva a vedere erano colori che si mescolavano insieme, come sciolti da una fiamma e ora immersi in un liquido che fluttuava di fianco a lui, un liquido capace di tenersi in piedi e non di crollare a terra.
-Mostrati…- disse il ragazzo, con un filo di voce.
-Non vuoi vedermi per davvero…- ribatté la voce, che finalmente proveniva da una fonte conosciuta, per quanto poco definita -ma posso rispondere alla tua domanda precedente: non riconosci queste figure? Eppure, fanno parte di ogni singolo istante della tua esistenza.-
Il ragazzo allora si guardò intorno, a fissare tutti quei nuovi “intrusi” in quella landa che fino a poco prima mostrava uno scenario prettamente “orizzontale”. Eppure nessuna di quelle tremolanti presenze gli ricordava qualcosa.
-Se proprio gli occhi non ti aiutano- continuò la fiamma parlante di fianco a lui -forse potrai riconoscere le loro voci: ecco da dove derivano queste parole, queste risate che ascolti ora, ecco perché puoi sentire questo ronzio, è un buon metodo per identificare persone conosciute quando gli occhi non ce la fanno da soli, non trovi?-
-Vorresti dirmi che queste figure ondeggianti altro non sono che persone?-
-Certo. Amico mio, dovresti essere abbastanza cresciuto non credi? Hai vissuto per così tanti anni circondato da persone, abbastanza da avere capito almeno un po’ come sono fatte. Non di certo averle capite, quello è impossibile. Ma almeno qualche piccolo trucco…- la voce ricominciò a ridere, come nell’altra visione, questa volta con una risata piuttosto fastidiosa.
-Che cosa diavolo stai dicendo?-
-Persone, non sono altro che persone- probabilmente l’enigmatico proprietario di quella voce, disturbatore di visioni quasi-oniriche altrui, aveva cominciato a gesticolare, poiché due protuberanze cominciarono a muoversi ai lati della figura centrale -gente che frequenti tutti i giorni, esseri umani che ti passano di fianco mentre cammini sul marciapiede.
Ed è proprio il fatto che non puoi comprendere la gente che ti circonda, proprio il fatto che i loro pensieri più nascosti, ma anche quelli più frequenti, non ti saranno mai chiari, mai ti appariranno come scritti su di un libro.
Tu vedi la gente, la fissi, la guardi in viso e la studi attentamente, ma quanto sai di loro? Apparenze. Da una smorfia potresti già captare qualcosa che nascondono dentro, eppure potresti facilmente sbagliarti, sei umano anche tu. Siamo animali prettamente “visivi”, e spesso quello che captiamo con gli occhi ci appaga così tanto da accontentarci, da saziare il nostro bisogno di sapere, fermare il nostro “studio” dell’altrui essenza.
Sappiamo che dietro gli occhi c’è molto altro, ci sono pensieri, idee, c’è l’immaginazione, ci sono tantissime altre cose. Lo sappiamo perché lo viviamo sulla nostra stessa pelle. Eppure molti di noi sbagliano proprio in questo: molti pensano di essere gli unici ad avere il dono di pensare, di elaborare proprie teorie, di immaginare, di fantasticare sugli altri e sul mondo che ci circonda.
La gente estranea, cioè tutte le persone che ci circondano, è fatta di carne e ombre, ma fin dalla nascita tutti gli uomini hanno sempre timore del buio, timore di quelle ombre, anche se tutti sanno che spesso non nascondono niente di pericoloso, anzi spesso quelle ombre celano solo qualcosa di interessante. D’altronde tutte le ombre sono figlie della luce.
Ma comunque le persone rimarranno queste figure tremolanti, queste immagini irriconoscibili, quadri incompleti ai nostri occhi, che però se ne innamorano con estrema facilità.
Dunque l’essenza è davvero caduca, se possiamo conoscerne solo qualche piccola caratteristica. Possiamo decidere di vivere tanto a lungo quanto per brevissimo tempo, il risultato sarà sempre lo stesso, non conosceremo mai a fondo l’essere umano, noi stessi. Una vera fregatura. Non trovi, Billy?-
Il ragazzo era frastornato, non capiva dove quella voce lo stesse portando con quel discorso: -cosa vuoi dire? Io non capisco perché sono qui, perché sei diventato un sogno ricorrente…-
-Sogno, bravo. Siamo sempre in quei dieci minuti ricordi? Quando si entra non si esce più…-
-Smettila!- il giovane era divenuto di colpo piuttosto adirato -Spiegati una volta per tutte! Dimmi chi diavolo sei! Dimmi dove siamo! Mostrati!-
-Non importa chi io sia, dato che posso essere tutto ciò che voglio, tutto ciò che tu conosci. Potrei ingannarti come più mi aggrada con una figura bene impressa nella tua mente, ma non mi interessa questo. Sto cercando di farti comprendere altro.-
-Smettila! Non mi interessa il resto! Mostrati, ora!-
Quella sorta di nuvola parlante si immobilizzò, poi ricominciò a muoversi più velocemente di prima. In quell’istante una luce accecante nacque proprio da quella figura, e tutte le altre fiamme simili a quella vennero spazzate via mentre Billy non riusciva più a vedere l’ambiente circostante.
Appena quella luce smise di espandersi, una specie di nebbia cominciò a formarsi tutto intorno: Billy ne fu avvolto, sia esternamente che internamente, visto il suo stato di agitazione che salì d’improvviso. Aveva forse fatto arrabbiare quella figura, abitatrice dei suoi sogni? Cosa sarebbe successo ora? Dove era finita quella voce senza corpo?

 
Proprio mentre si poneva quelle domande, davanti ai suoi occhi la nebbia si diradò giusto un po’, ma ciò non gli servì a riconoscere le anormali strutture di quella infinita vallata in cui si era ritrovato catapultato fino a poco prima.
-Dove sei finito? Che sta succedendo?- chiese ad alta voce il ragazzo, ma nessuno rispose. Continuò a fissare davanti a sé, sperando che la nebbia continuasse a scomparire un po’ alla volta. Dopo pochi istanti notò che quelle umide nuvole si muovevano, come se qualcuno le stesse spostando, e di colpo notò una figura muoversi tra quelle.
Non ebbe il tempo di parlare né di muoversi: dalla nebbia proprio davanti ai suoi occhi sbucò un uomo con la testa abbassata, si fermò e cominciò a ridere.
-Sei…sei tu?- chiese timido Billy.
Quell’uomo con uno scatto felino saltò verso il ragazzo e alzò il braccio sinistro in aria. In quell’istante il giovane si rese conto che proprio nella mano sinistra quell’uomo stringeva un grosso pugnale da cucina. Ma non fu la cosa che lo spaventò maggiormente.
Quando quell’oscuro e violento figuro alzò la testa, solo allora Billy si rese conto che quell’uomo era lui stesso, con un sorriso da folle stampato in viso. E non ebbe nemmeno il tempo di urlare, che il se stesso armato gli fu addosso subito.

 
E proprio in quell’istante Billy si svegliò, ancora. Più spaventato di prima. Sempre bagnato di sudore.

Gli Aldilà – Capitolo 1

Pubblicato: 31 luglio 2009 in Gli Aldilà
Tutti, ci scommetto quello che volete, avevate dato per spacciato il blog. Una morte non annunciata, una fine inaspettata, ma una fine, era evidente…Ma in realtà, era solo un lungo, lunghissimo stop, che potrebbe, visti i mesi di fuoco che mi aspettano, riprendere tra non molto…Ma ora ci riprovo, anche se so che quest’ultimo stop ha praticamente polverizzato quei 4 o 5 lettori rimasti. Insomma, se è rimasto un lettore oltre a me stesso, che si faccia sentire, magari con un commentino anche…
 
E come ci riprovo vi chiederete voi (o miei inesistenti lettori Sorpresa): qualche mese fa pubblicai un raccontino da blog, che se qualcuno (ancora che insisto……!) ricorderà, era solo un’introduzione a un vero racconto al quale stavo lavorando…
Ebbene, il racconto è finalmente finito, dopo mille peripezie, tempo assente, computer bruciati e capitoli recuperati da hard disk salvati per un pelo dopo mesi…insomma, avevo annunciato la fine della stesura per gennaio 2009, e invece eccoci qui…figuriamoci che avevo cominciato a scriverlo qui sul blog a gennaio 2008, addirittura mesi prima del furto subito, a luglio dell’anno scorso, infatti l’introduzione che avevo scritto parla ancora del moleskine che mi è stato rubato…e infatti, tanto per quel retrogusto vintage, vi copio anche la vecchia presentazione, e poi via col primo capitolo del racconto…Enjoy!
 
"Dato il periodo totalmente saturo, data la voglia di scrivere tante tante cose ma non avendo nemmeno un centesimo di secondo per mettere mano ai miei progetti più sostanziosi (ma non è qui il posto dove parlarne, abbiamo cotanto di presentazione già bene avviate…!), mi è saltato in mente di iniziare una storia che avevo in mente da tempo e che era finita tra le note del mio fidato moleskine…

L’avevo quasi abbandonata a dirvela tutta, però riadattarla per crearne un "racconto da blog" direi che è una buona idea…non sia mai che magari esce fuori qualcosa di buono preso dalla pressione del dover postare quanto prima per tenere alta l’attesa nei miei lettori (ok, questa frase dovrebbe suonare tipo: "dover postare quanto prima perché se no poi ci rimango male io, dato che nessuno legge qui Caldo).
Si tratta di una storia alquanto grottesca, a forti tinte horror. Ispirazioni principali, un racconto che lessi sul web anni e anni fa e la trama di un videogame che purtroppo non ho ancora avuto il piacere di provare, con ovvie e pesanti spruzzate di uno dei miei maestri ispiratori, il caro vecchio Howard Phillips Lovecraft.
Ah, ovviamente anche in questo racconto ci sono degli "elementi portanti", presenti in tutti i miei racconti…per motivi importanti, che vi spiegherò a tempo debito…ora: Enjoy!" In lacrime
 
Gli Aldilà
Capitolo 1
 
 
Sveglio di colpo.
I sogni alle volte scuotono il nostro essere per eliminarsi da soli, una sorta di auto-esecuzione, aprono i nostri occhi per scomparire e lasciarci nel dubbio.
Quando si tratta di incubi però è forse il contrario: è il corpo che non resiste, è il corpo che vuole a tutti i costi liberarsi di quelle visioni disturbanti, preferendovi addirittura la poca suggestione della realtà, preferendo a quelle visioni oniriche l’oscurità di una stanza morta.

 
Billy si drizzò di colpo sul letto. Da disteso e incosciente a vigile e spaventato, con la fronte imperlata di goccioline di sudore.
Aveva avuto un brutto sogno, di quelli in cui sei costretto a scappare perché inseguito da un qualche nemico intenzionato a farti male, molto male, e corri come puoi, quanto puoi, ma inevitabilmente finisci nelle mani del carnefice.
E quel momento a quanto pare era arrivato, ma era così reale, così verosimile…Il tocco delle mani di quel pazzoide, la sua risata, era tutto come se stesse accadendo per davvero. Alle volte la mente ci riserva anche di queste sensazioni così strane, nel momento in cui lascia libero di vagare quello che chiamano inconscio.

 
La paura era tangibile in quell’istante, come se per davvero non si fosse trattato di incubo ma di pura realtà.
Si alzò, ancora con la fronte bagnata, e come atto compulsivo si avviò verso la porta d’ingresso del suo piccolo appartamento: chiusa, non doveva preoccuparsi, era davvero solo un incubo.
Ritornò verso il letto per andare in cucina: l’appartamento era davvero piccolo ma ben congegnato, subito dopo l’ingresso e il piccolo corridoio c’era un salottino, sulla sinistra, proseguendo dritti si finiva nel bagno e alla zona lavanderia, di fronte al salotto invece, separata da quest’ultimo solo tramite un paio di penisole, la camera da letto, con piano rialzato sul quale era appunto piazzato il talamo, di quelli molto bassi; la cucina era separata da quella “semi-camera” anch’essa da una piccola penisola che Billy usava come piano per cucinare o come “zona bar”, così gli piaceva chiamarla.
Si avvicinò a quel piano per girargli intorno e raggiungere il frigorifero, aveva un forte bisogno di bere vista l’acqua che aveva lasciato “scappare” dal suo corpo a causa di quel sogno disturbante.

 
Non appena effettuata quella piccola curva fissò il frigorifero, socchiuso; dall’elettrodomestico usciva una luce più intensa del solito, rimase dubbioso, poi spostò il suo sguardo verso il basso: una quantità spropositata di insetti e soprattutto di vermi usciva proprio da quella porta semichiusa, arrivando quasi fin sotto ai suoi piedi.
Il ragazzo stava per cadere all’indietro, poi trattenne con molta volontà un conato di vomito.
Rimase un attimo fermo muovendo solo la testa spasmodicamente, per cercare di capire, focalizzare un attimo quella strana situazione. Doveva arrivare al frigorifero in qualche modo per capire da dove provenissero tutti quei viscidi animali, fu l’unica conclusione che riuscì a trarre.
Si accostò quanto poteva al muro, tenendosi sulla punta dei piedi e aiutandosi con le mani puntellate sul piano di quella mezza parete. Per quanto cercasse di evitarli, finì per schiacciare alcuni di quei viscidi invertebrati, e di nuovo si sentì disgustato quando alcuni di quelli gli camminarono sui piedi nudi. Enormi scarafaggi per giunta, di quelle bestie che lui odiava, non poteva farci niente.
La luce intanto era sempre più intensa, illuminava quasi l’intera cucina. Arrivato finalmente al maniglione, spalancò la porta del frigo, e rimase interdetto: quella luce così forte non proveniva dalla piccola lampadina posta, come sempre, in alto, ma da una sorta di squarcio, una apertura luminosa apertasi all’interno del frigo; come se un portale, di quelli che si vedono nei film di fantascienza, si fosse sostituito alla scaffalatura.
In fondo a quel portale c’era come l’inizio di una strada di campagna, l’unica cosa che si poteva distinguere oltre alla intensa luce, e in quello che una volta era un semplicissimo elettrodomestico cadeva ora della terra, dalla quale tutti quegli insetti provenivano.

 
Sbalordito da ciò che stava vedendo, Billy si rese conto solo dopo un po’ che alcuni di quegli animali stavano cominciando ad arrampicarsi sulle sue gambe, e preso da una forte repulsione se li scrollò di dosso con movimenti a dir poco isterici.
Liberatosi di quelli, per cercare di capire cosa stesse succedendo, ed anche per allontanarsi da quello spettacolo poco gradevole comparso dal nulla nella sua cucina, si avvicinò a quel portale per ispezionarlo: sfiorò i bordi di quella figura ovale, arrivò ad appoggiarsi ad esso per guardarlo meglio, ma proprio nel momento in cui stava per infilare la sua testa per carpire un’eventuale profondità di quel “qualcosa”, venne come risucchiato verso quella luce.

 
Si rialzò da terra impaurito, nuovamente sudato. La porta luminosa dalla quale proveniva non c’era più, ma soprattutto il luogo in cui si trovava, anche quello non c’era.
Dopo aver attraversato quella sorta di portale apertosi come per incanto nel suo frigo (che luogo poco consono…), Billy si ritrovava ora in un piano oscuro, senza spazio e senza tempo.
Intorno a lui non c’era nulla, solo un ambiente di cui non conosceva l’estensione, totalmente nero. Come ritrovarsi in un grosso scatolone.

 
Cominciò a camminare ma presto si rese conto che quella scatola non aveva pareti, o semmai ne avesse avute dovevano essere molto distanti, immaginando di ritrovarsi dunque in uno spazio molto ampio. O forse chissà, infinito. Eppure così vuoto.
Si era ritrovato di colpo nel nulla. Nel nulla infinito, o nell’infinità del nulla. E lui, essere vivente, non aveva alcuna ragione di trovarsi in quel “posto”. Era diventato parte di una serie di paradossi, tra i quali lui era quello più evidente. Eppure era lì dentro, lo sentiva vivamente, come se tutte le antinomie fossero diventate di colpo sottintendenti lo stesso tema.
Si ritrovava nel nulla, nel non essere, per quanto essere vivente.
Continuava a camminare, a seguire ogni direzione in cui si girasse, nonostante non riuscisse a capire se cambiare direzione senza alcuna indicazione potesse servire a qualcosa.
Non osava parlare, non sapeva cosa potesse risvegliarsi in quell’enigma che conteneva il suo corpo: in fondo l’uomo tiene dentro sé stesso sempre un minimo ricordo di quando si è bambini, quella paura del buio che diciamo di aver superato tutti, poiché nell’oscurità può sempre nascondersi qualcosa di totalmente inaspettato.
Figurarsi cosa poteva apparire davanti ai suoi occhi, cosa poteva celare quel nero più totale che lo circondava e penetrava nel suo animo.

 
Eppure tutto ad un tratto, mentre vagava, gli comparirono davanti agli occhi delle figure, totalmente inaspettate: un’automobile, la sua auto, comparve dal nulla, mettendosi subito in risalto su quello sfondo perennemente nero grazie al grigio della sua carrozzeria. Sembrava stesse ferma lì, sempre nella stessa posizione, eppure fissando le ruote si rese conto che stavano girando come se l’auto fosse in movimento, come se il pavimento (semmai ne fosse esistito uno) si stesse muovendo a sua volta in direzione opposta alla stessa velocità, o come se quel mezzo di trasporto si ritrovasse sospeso in aria.
Billy non capiva.
Subito dopo, poco più avanti rispetto la vettura, comparve un grosso albero, dal lato opposto un guardrail, e poi il nero al di sopra di quelle figure cominciò a spezzarsi per la comparsa di strisce verdastre e bianche, come delle nuvole strane, abbinate a quello che era diventato un cielo nero.
Si era creata un’atmosfera onirica e opprimente intorno a lui, fermo come si trovava in quella scena immobile ma come in attesa di potersi sbloccare. Rimase a guardare un altro po’, finché provò ad avvicinarsi all’auto: bastarono pochi passi e quella partì ad altissima velocità, schiantandosi contro l’albero che aveva dinanzi.
Non ci fu, ovviamente, la possibilità di scansarlo, e l’auto si piegò su se stessa come fosse di cartone, dato che, non appena svanì quella sorta di fermo immagine che la teneva immobile, quella cominciò subito a viaggiare ad altissima velocità.
Billy cadde all’indietro, tenendosi con le mani per terra e rimanendo seduto, spettatore attonito di quello spettacolo istantaneo.
L’unico suono che sentì fu il tonfo sordo dell’auto una volta colpito l’albero, poi la scena tornò muta. Il respiro del ragazzo intanto era divenuto velocissimo, e forse si mise a correre dietro al battito cardiaco arrivato alle stelle. La bocca era spalancata.
Solo dopo un po’ riuscì ad alzarsi, tenendo sempre gli occhi incollati su quell’immagine, mentre l’auto cominciava a prendere fuoco, sempre senza alcun rumore di fondo.

 
-Lapalissiano…- una voce si introdusse in quel misterioso ambiente, una voce esterna, senza alcuna bocca che l’avesse pronunciata nelle vicinanze.
-Chi…chi c’è? Chi parla?!- Billy intervenne subito, ancora più tachicardico, guardandosi intorno e cercando un’altra figura umana nei paraggi, poi alzò la testa verso l’alto, come per cercare una qualche entità superiore, il creatore di quel buco nero in cui stava come galleggiando. Ma non c’era alcun “Dio” ad aspettarlo.
-Dieci minuti prima di morire era ancora vivo…Questo è lapalissiano…-
Billy non capiva: -Chi sei? Dove mi trovo? Cosa diamine stai dicendo?-
-Tu ora sei proprio in quei dieci minuti. È il sogno, Billy, il tuo sogno? Eppure ti eri svegliato poco fa…E quegli insetti, Billy? Cosa ci facevano lì?-
-Questo dovrei chiederlo io a te. In che posto ci troviamo? Perché mi trovo qui? E cerca di essere chiaro, chiunque tu sia. A proposito, cerca anche di dirmi chi sei.- Il ragazzo acquisiva coraggio, si stava abituando a quell’atmosfera da incubo che lo circondava. O forse era solo la paura che parlava per lui.
-Sei sicuro che vuoi che io sia più chiaro?- disse la misteriosa voce, con tono quasi divertito -vieni, avvicinati all’auto…-

 
Billy volse il suo sguardo al veicolo corroso dalle fiamme, ma ancora riconoscibile. Non appena il suo collo rivolse di nuovo la sua attenzione a quella scena esageratamente luminosa, le fiamme cominciarono ad abbassarsi velocemente, per poi scomparire, insieme col fumo, come succhiati via.
Ma l’incredibile avvenne quando l’automobile riprese a muoversi: dopo uno schianto del genere nessun veicolo sarebbe stato in grado di spostarsi di sua sponte, e soprattutto nessun conducente sarebbe stato capace di muovere un solo dito.
Eppure quella che aveva riconosciuto come la sua automobile poco prima si mosse all’indietro, come se un qualche improbabile sopravvissuto all’interno del suo abitacolo avesse inserito la retro per spostarsi, dopo quel “maldestro parcheggio”. E ancora più sbalorditivo fu osservare le lamiere totalmente accartocciate che tornavano ad acquisire la foggia originaria di quell’auto.
Poco a poco, la carrozzeria riprendeva il suo colore di base, le enormi bruciature venivano ricoperte dal grigio metallizzato della vernice, svanito poco prima. Il cofano tornò ad essere lucido, senza un graffio, e alla stessa velocità alla quale si era schiantata, l’auto tornò a circa trenta centimetri dal tronco dell’albero che poco prima aveva distrutto, anch’esso tornato integro.

 
E in quella posizione la scena di nuovo si immobilizzò.
Billy incredulo, con la bocca sempre più spalancata e le braccia ferme in una posizione circospetta, fissava quel fenomeno appena avvenuto sotto i suoi occhi, mentre si avvicinava molto lentamente all’auto rimessa a nuovo, quasi volendola toccare per capire quale stregoneria fosse successa, anche se aveva una certa paura nel farlo.
Cercò di non sostare nel ristretto spazio che si era appena riaperto tra l’albero e l’auto, temendo che quest’ultima potesse ripartire di colpo. Poi si spostò dal lato del conducente.
-Allora? Non eri curioso? Dai un’occhiata all’interno della macchina…- furono le parole di quella voce piena di mistero, ancora intrise di quel tono divertito.
E a quelle parole, dopo essersi guardato intorno per capire da dove potessero provenire, Billy rivolse il suo sguardo verso il finestrino del lato conducente di quella che sembrava la sua vettura. Fu costretto ad avvicinarsi per poter vedere cosa ci fosse dietro quella fine lastra di vetro: solo in quel momento infatti si rese conto che tutti i finestrini di quell’auto si erano appannati di colpo, come se qualcuno al suo interno stesse respirando in modo estremamente accentuato e proprio vicino ad essi.

 
Quando infine riuscì ad intravedere qualcosa, ad aprire un varco attraverso quella immotivata brina che si era formata tutta di un colpo mentre lui aguzzava la vista, in quell’istante divenne di nuovo tutto chiaro; in un istante i finestrini di quella misteriosa auto erano nuovamente trasparenti, e Billy riuscì a vedere chiaramente al suo interno.
Purtroppo, quello che vide non lo rassicurò per niente, anzi contribuì ulteriormente a scuoterlo, a cancellare quell’istante di coraggio che aveva avuto un attimo prima, nel rivolgersi a quella voce, anch’essa comparsa dal nulla, come tutto quello che stava presentandosi innanzi agli occhi in quella irreale ma palpabile situazione.
Quello che vide lo scosse non poco: in quell’auto, al lato del conducente, c’era lui stesso, Billy in persona.
-Cosa ti succede? Non mi avevi chiesto tu di essere più “chiaro”?- dopo quell’affermazione la “voce” rise sommessamente. Fu in quell’istante che la figura alla guida dell’auto si girò alla sua sinistra, ponendo i suoi occhi in quelli, attoniti, del povero ragazzo all’esterno. Era come guardarsi allo specchio.
Non ci fu il tempo di dire una parola, la scena si sbloccò, l’automobile ripartì a velocità elevatissima, schiantandosi nuovamente contro l’albero. Il momento si ripeteva.

 
Billy si svegliò di colpo, la fronte imperlata di goccioline di sudore freddo, congelato. Ansimava vistosamente.
Mi presento, il mio nome è John, John Sikeston. O almeno questo è il nome che hanno scelto per me quando ancora mi limitavo a piangere e a scalciare, e il mio cervello non era capace di dire "no", o semplicemente era la mia bocca che si rifiutava.
Ripetere quelle poche lettere che formano il "nostro" nome (si chiama nome proprio, eppure è così comune, pensare che migliaia, milioni di persone hanno il nostro stesso nome…) è una delle tante cose che diventa routine nel corso della nostra esistenza, così come dire la nostra età, dire dove siamo nati, parlare della nostra professione e dei nostri hobby.
Nel mio caso però queste ultime due caratteristiche non sono così facili da esporre. Si intrecciano, diventano la stessa cosa più volte. E dargli un nome è quasi impossibile. Alcuni loschi e pericolosi individui vengono identificati come omicidi seriali. Io ho qualcosa in comune con loro, un po’ di violenza c’è anche nella mia professione, ma non ho un ego così grande da fare del male a qualcuno estraneo a me stesso.
"Suicida seriale" sarebbe la definizione più azzeccata.
 
 
Sembra difficile da digerire, o solo una frase fatta, eppure non saprei trovare definizione migliore io stesso.
 
Tutto cominciò una lontana notte, durante un sogno. Ero solo un bambino, un piccolo cucciolo innocente, inseguito da un poco di buono armato di una grossa mazza di ferro ricoperta di ruggine.
La tensione era palpabile, tutto quello che potevo fare era scappare, ma sapevo di essere in un lungo vicolo cieco, nessuna via di uscita. Era cominciato tutto all’ingresso di quel vicolo, ero lì a giocare con un mio amico, quando d’improvviso questi due tizi loschi arrivarono con la sola intenzione di massacrarci di botte.
Uno prese subito il mio amico, io invece continuai a scappare in preda al panico. E il vicolo continuava ad allungarsi.
Il bello è che continuavo a ripetermi "tanto è solo un sogno, tra poco ti sveglierai". Era un sogno lucido, sapevo di stare sognando…Eppure continuavo a correre.
Tutto quello che mi tratteneva lì era quel lungo vicolo che continuava ad allungarsi, quasi volesse accompagnare la mia fuga finché ci riusciva.
Ma alla fine il muro in fondo arrivò, e fui costretto a fermarmi lì, a cercare una porta invisibile, come quelle dei film di serie B, e a quel punto tutto ciò che mi rimase da fare fu girarmi per vedere quel folle coi capelli biondo citrino, grossolanamente tinti, ridere morbosamente per poi scagliarsi addosso a me con un balzo.
 
Tutto ciò che mi rimase da fare a quel punto fu chiudere gli occhi, rannicchiarmi, e desiderare di non essere lì. Nella mia mente di timoniere di sogni mi lasciai morire, e quel colpo non sembrò arrivare mai, probabilmente non lo accusai.
L’importante fu che quando aprii gli occhi mi ritrovai altrove, in un luogo totalmente differente, in una vita diversa. Desideravo salvarmi, desideravo cambiare le condizioni precedenti che mi avevano portato in quel vicolo cieco. E il cambio fu drastico.
Solo dopo qualche lungo istante mi resi conto della situazione in cui mi trovavo, di quello che avevo fatto con la sola mente. Così decisi che quella sarebbe stata l’occupazione principale per il resto della mia vita: affiancare alla stessa vita la sua continua correzione.
Tutti hanno una sola esistenza, un lungo treno che continua a scorrere sui binari del tempo. Io invece avevo deciso che la mia vita doveva diventare una bozza, sulla quale poter lavorare in continuazione, fino alla fine dei miei giorni.
 
Tutti immaginano di vivere i propri sogni, mentre io stavo rendendo un mio sogno la pura realtà senza sforzi lunghi anni. Solo grazie alla mia volontà.
 
 
E ci riuscii molto facilmente per giunta.
E riuscii a lasciarmi morire per tornare indietro e modificare qualche errore, ma anche ad uscire del tutto da una vita andata "male" per rituffarmi in un altro luogo, in un altro posto, in un’altra esistenza. Una droga, ve l’assicuro.  Ad oggi non saprei dirvi quante volte mi sono lasciato andare, quante volte sono tornato indietro o ho cambiato totalmente le carte in tavola…
La prima volta, dopo quel miracoloso sogno, successe a scuola, un litigio con un amico, un brutto voto…
Mi bastò colpire un paio di volte il pavimento col mio piccolo piede capriccioso, mettere su un paffuto broncio, incrociare le braccia, chiudere gli occhi e concentrarmi.
Tutto intorno si contrasse, come risucchiato da un solo punto, e come se non fosse accaduto niente mi ritrovai in un’aula totalmente differente, più luminosa, tutti i bambini mi guardavano, chi sorridente e chi sbalordito, e la maestra si complimentava con me per il tema perfetto.
Fu tanto felice che lo ricopiò e lo portò a casa come ricordo. Dovevo essere stato bravo, eppure ero impegnato in un’altra vita fino a poco prima…
 
 
Da quel momento sfruttai ogni singola occasione per utilizzare quel potere così grandioso. Scuola, università, vita, lavoro. Quelli che erano normalissimi e stupidi errori di tutti i giorni, ma irreparabili errori per tutti, per me erano solo una scusa per una nuova correzione.
Tutto andava come volevo io, avevo sempre una seconda possibilità, e se proprio non ci fosse stata una via d’uscita, bastava cambiare del tutto il gioco a cui stavo giocando.
 
Una volta ad esempio, pochi giorni dopo aver preso la patente di guida, mi ritrovai in un incidente gravissimo: poco prima di uno schianto contro un muro a 80 all’ora chiusi gli occhi, questa volta così tardi che sentii l’inizio dello schianto, le lamiere che si accartocciano, il moto che d’improvviso si arresta. Quella parte di automobile che era avanti, d’improvviso cominciò a farsi indietro, mentre la mia testa cominciava a viaggiare in avanti, come attirata da quel muro…ma fu solo un istante.
Subito dopo completai il mio primo parcheggio perfetto, in un’altra parte di città certo, ma diamine che bel parcheggio…
 
E non vi dico la comodità di quando si correva dietro alle ragazze: primo approccio sbagliato? Si può sempre cancellare e riprovare di nuovo. Certo con le ragazze è sempre più difficile, dato che ogni volta che sfruttavo questa mia capacità, non so come ma anche loro cambiavano qualcosa del loro carattere…Ma con qualche tentativo si riusciva sempre.
 
 
Eppure una volta qualcosa cambiò, qualcosa subì un cambiamento in quella mia maledettissima testa.
 
Fu, come al solito, colpa proprio di una donna, bellissima, e così misteriosa.
Tutto era cominciato in modo normalissimo, primo approccio sbagliato, lei divenne mia amica, ma niente di più.
Tornai indietro, subito, tutto andò perfettamente, ci baciammo, eppure nel suo sguardo, nel suo sorriso, c’era qualcosa che non andava…
Tornai indietro, di nuovo, e andò tutto anche meglio, la vidi entusiasta, eppure in quel caso non mi sentivo soddisfatto io, fu come troppo facile, quasi non ci fosse niente di importante in quello che si era venuto a creare…
E tornai, ancora, indietro. Volevo che tutto andasse bene, per davvero, e anche questa volta fu facile riuscire nel mio intento, e addirittura la vidi entusiasta, partecipe, le mie parole la inebriarono e i suoi baci mi colmarono di felicità. C’ero riuscito, proprio come volevo…
Ma niente, tornai indietro ancora una volta, non so per quale motivo, ma ne sentivo il bisogno…
 
E la vidi di nuovo lì, mi dava le spalle, presa a fare altro, io già pronto ad attaccare…
Ancora mi avvicinai, saluto e sorriso, lei inizialmente non era molto interessata eppure, mi ci volle poco per farla cambiare drasticamente. D’altronde sapevo già bene come agire, quali tasti spingere.
Dopo pochissimo tempo il suo sguardo cambiò, la parola "interesse" le si stampò in viso, la potevo riconoscere chiaramente, nasceva dalla punta destra delle sue labbra per morire alla punta sinistra, innalzandosi fin sopra ai suoi occhi, leggermente dilatati.
Incominciò ad avvicinarsi a me, quasi a cercare il mio sorriso, quasi a cercare un contatto…
Eppure quella volta, le strinsi la mano e andai via…
Si, potrò sembrare pazzo, non so cosa successe: dopo tutto quel tempo a cercare di conquistarla, la abbandonai così, decisi di andarmene…
 
 
Da quel giorno non usai più quello "stratagemma". Decisi di vivere la vita come veniva, e se proprio qualcosa fosse andato storto, beh, avrei cercato di prenderla con leggerezza…
 
I’ve seen all good people turn their heads each day
so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day
so satisfied I’m on my way.

Take a straight and stronger course to the corner of your life.
Make the white queen run so fast she hasn’t got time to make you a wife.

‘Cause it’s time, it’s time in time with your time and its news is captured
For the queen to use.
Move me on to any black square,
Use me any time you want,
Just remember that the goal
Is for us to capture all we want, (move me on), yea,yea,yea,yea,yea (to any black square)

Don’t surround yourself with yourself,
Move on back two squares,
Send an instant karma to me,
Initial it with loving care yourself.

‘Cause it’s time, it’s time in time with your time and its news is captured
For the queen to use.
Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit didda.
Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit Don’t surround
Didda. Don’t surround yourself with yourself.
Don’t surround yourself with yourself, Don’t surround yourself.
Move on back two squares,
Send an instant karma to me, Send an instant karma to me
Initial it with loving care to me. Don’t surround Yourself.

‘Cause it’s time, it’s time in time with your time and its news is captured
For the queen to use.
Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit didda. (all we are saying)
Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit didda.(is give peace a chance)
Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit didda.(all we are saying)

Diddit diddit diddit diddit diddit diddit diddit didda.(is give peace a chance)

‘Cause it’s time, it’s time in time with your time and its news is captured.

II. All Good People
(Squire)

I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
Yea, yea.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.
I’ve seen all good people turn their heads each day so satisfied I’m on my way.

 
Jon: "Mud, mi sento strano…come dire, inutile"
 
Mud: "Amico mio, lascia che te lo dica, non c’è nessuno che sia per davvero utile sulla faccia della Terra. Prendi un individuo, eliminalo, cancellalo all’improvviso. Il pianeta sarà davvero cambiato? L’universo avrà subito davvero una variazione irreversibile? Forse questo pianeta ne avrà solo guadagnato in anidride carbonica semmai…"
 
Jon: "Ma Mud, amico mio, perché dici questo…sii un po’ più positivo!"
 
Mud: "È la pura e semplice verità amico mio. L’utilità è solo qualcosa di soggettivo, e limitato a una ristretta cerchia di conoscenti, che per quanto ampia sia è comunque finita. Se quell’individuo che ho introdotto prima dovesse sparire, gli unici che, per un breve periodo per giunta, lo piangeranno, saranno solo gli appartenenti a quella ristretta cerchia. Anzi, solo pochissimi degli appartenenti a quella cerchia.
Per quelli l’affetto verrà a mancare, appunto perché il far provare affetto era l’utilità principale di quell’individuo. Ma poi anche per quella ristretta cerchia di individui la vita continuerà, perché l’utilità di quell’essere era soltanto relativa.
Ognuno è utile a se stesso"
 
Jon: "mi fai paura, Mud…"
 
Mud: "a me è la vita che fa paura. Ti spiego: supponi ora che io decidessi di ucciderti. Io in vita sono stato una persona "relativamente utile" per te, giusto? Sono stato un amico, un individuo che ti ha permesso di avere conversazioni come questa, di sfogarti, di fare di tutto insomma. Dunque possiamo dire che sono una persona utile per te in vita, per quanto relativamente.
Ebbene se io ora ti uccidessi, diverrei anche più importante: oltre ad essere stato utile in vita, lo sarei anche in morte. E ancora più importante in morte, in quanto tuo amico, ma anche addirittura artefice della tua stessa morte. Un personaggio fondamentale in questo avvenimento così importante. Non ti sembra folle? Un amico può essere un vero amico se lo è in morte, non tanto in vita"
 
Jon (sorridendo): "Ora capisco quello che vuoi dire. Sei una persona contortissima sai? Eppure, sei sempre il grande amico che conosco!"
 
Mud: "Perché lo dici?"
 
Jon: "Beh, diciamo che ora mi sento più utile!"
 
Il proiettile schizzò via dalla pistola di Mud come se avesse una fretta inusitata. Continuando a ruotare su se stesso, terminò il suo viaggio entrando poeticamente tra gli occhi di Jon, poco sopra la radice del naso.
 
Un periodo brutto.
Non riesco a vivere nessuno, non riesco a sopportare nessuno.
Fisso un viso per cercare di farmi piacere tutti quelli che incontro.
È un periodo in cui non riesco a vivere la gente che mi è intorno. In pochissimo tempo do vita e morte. O solo la seconda.
Blocco in un filtro tutto quel poco di buono che c’è e sento solo il contenuto di quella grossa vena, che sa di falso in loro e di marcio nella mia testa.
 
Ma sarò re, re di nuovo.
 
Comincio di nuovo a sentire solo il sapore di marcio, di rancido, che penetra dal naso e si espande nei polmoni, che impregna la testa poi.
E ci si abitua.
A volte a quell’odore ci si abitua. E bisogna frenare quell’istinto che sembra disumano, ma in realtà più umano di così non c’è.
E si parla sempre di meno.
Si ottiene la schiettezza d’animo più pura, eppure si sa che farebbe male a buona parte delle persone, che si cibano di bugie, tanto care e tanto vuote.
E ci si trattiene, e la testa scoppia, e il marcio e il purulento acquistano terreno. Nessuno è disposto ad aprire un qualche buco per fare in modo che il nostro cranio si liberi.
Ma tutti sono disposti a vomitarci dentro. Dicono che ascoltiamo bene. Per lo più, conteniamo. Siamo elastici. Fottutamente empatici.
E fisso, continuo a fissare una foto per farmi piacere la moltitudine.
Chiunque può essere rappresentato in quella foto. Chiunque avrebbe potuto buttarla all’angolo della strada, per farmela trovare, o solo per disfarsene.
 
E c’è un sorriso su quella foto.
Un’arma che fa tanto male, un’arma che uccide. Ma questo è così spensierato. Mi sorride, senza lame nascoste.
Sorrido di rimando, ma non riesco a sorridere al resto che mi circonda. Vivo felice nello spazio che abbraccia me e la foto.
Il resto del mondo è contro un sorriso sincero.
E fisso ancora quella foto, sperando che mi insegni ad abbracciare anche il resto dello spazio che mi circonda.
E fisso la foto, sapendo che in fondo non avrò nemmeno la forza di conoscere quel soggetto.
Nemmeno la possibilità, nemmeno il coraggio.
La vita è beffarda perché ci illude. E noi ci illudiamo di poter davvero governare gli eventi.
Creiamo spazi a misura nostra, con aperture all’esterno, credendo di poter invitare qualcuno al nostro tavolo di cartone.
Ma quel qualcuno passa e distrugge, o sminuisce. Pochi sono sinceri.
Come questo sorriso. Ma è solo una fotografia.
 
Viviamo in grosse tombe, fosse comuni immense piene di morti che camminano.
Il processo è inverso, qualcuno ogni tanto viene svegliato alla vita, o è semplicemente abbandonato con la propria vita nella moltitudine di morti.
Siamo tutti piccoli dei all’angolo della strada, ma purtroppo la stragrande maggioranza di noi ambisce a qualcosa di più, soltanto.
E rendere una lettera da minuscola a maiuscola per qualcuno è un traguardo ragguardevole, quando si tratta soltanto di una lettera in oceani e pianeti e universi di parole sprecate a predicare qualcosa in cui nessuno crederà.
C’è bisogno di un esempio, dicono.
Io cammino nudo per quelle strade, solo con la mia pelle. Anzi, mi tolgo anche quella.
Cammino senza pelle nella moltitudine per fare da esempio incompleto, mancante di qualcosa per gli altri così fondamentale.
Ma senza quella maschera rosa sono mostruoso, spavento la gente. E la gente è un animale che ha paura del fuoco. E gli esempi che fanno paura sono allontanati.
Ma predico ancora, nonostante tutto, e vengo etichettato come folle.
 
Accosto anima vuota ad anima vuota, per dimostrare la loro somiglianza, e vengo deriso, e rido con chi mi attacca. Hanno bisogno di questo.
Belle facce, vuoti sorrisi.
L’ammalato lo accosto all’altro ammalato, per dimostrare che vanno curati entrambi.
Carne a carne, nuda o vestita non cambia.
Ma tra i vecchi orti confinanti che si potevano calpestare con gentilezza una volta, ora vengono erette mura infinite, altissime.
Ognuno coltiva il suo, nessuno ottiene frutti.
Ma le mura sono più alte possibile, per far credere che il piccolo orto sia divenuto un immenso giardino.
E quei piccoli spazi che appassiscono col tempo vengono severamente rinchiusi affinché nessuno possa "avvicinarsi per copiare".
E a quel punto parlare, discutere, predicare, diviene inutile…come parlare con se stessi, come applaudire con una mano sola.
 
E quindi ritorno a fissare quella foto.
Non riesco a vivere la gente ultimamente, non riesco a respirare la strada come una volta. Aspettando torni tutto come prima.
Fisso quella foto, ancora…E per ora ottengo pochi risultati…ma fisso e spero…
 
 
 
È pazzesco…incredibile…
Abbiamo due braccia, due gambe,
ma soprattutto abbiamo una mente,
Eppure siamo costretti.
Il "futuro" che ci riservano ci tiene incatenati.
Impossibilitati a muoverci.
Subdolo, perché saremmo liberi di fare ogni cosa,
niente ci trattiene fisicamente,
eppure sappiamo che muoverci è soltanto a nostro rischio e pericolo…
 
Bloccati in una gabbia, due metri per un metro e mezzo d’aria.
La gabbia è flessibile, ci segue, ci invoglia a muoverci, ci tenta anzi.
Ma pur sempre di una gabbia si tratta.
L’unica via da seguire è questa, niente altro,
e l’unica cosa che ci spinge a seguirla è l’inganno.
Ci raccontano che un giorno saremo totalmente liberi,
un giorno raggiungeremo quello che abbiamo sempre desiderato.
Ma quello che abbiamo sempre desiderato lo ha creato e ben delimitato qualcun altro,
e dovremo svolgere quello che abbiamo sempre desiderato
non perché ci appaga veramente,
ma solo per continuare a sfamare un altro futuro che ci attende, ancora più avanti.
Dei piccoli respiri in questa infinita corsa ci sono, le chiamiamo pause.
Pensiamo di essere arrivati ad una fine momentanea. Che contraddizione solo a leggerla…
 
Quante volte ci vorremmo fermare, magari a riassaporare qualcosa provato in passato,
rileggere un libro, vedere di nuovo un film.
Eppure sappiamo che facendolo cancelleremmo il tempo per provare qualcosa di nuovo.
E dovendo seguire quel corridoio di vita,
trovare altro tempo per recuperare sarà difficile, se non impossibile.
Le nostre vite sono gettate a casaccio in un eterno scorrere,
disinteressato agli insignificanti esseri che noi altri chiamami uomini.
E oltre a ciò, qualche essere più insignificante degli altri
cerca a sua volta di disegnarci il futuro a modo suo,
per evitare che il suo presente sia poco piacevole.
Da insignificanti si riempiono di cariche, di nomi comuni e di aggettivi.
L’importante, per loro, è che siano il più pomposi possibile.
Ma sono solo parole.
E anche quelle, sono solo una nostra creazione,
per quanto possiamo sforzarci a dargli un significato divino.
Un giorno, anche gli altri insignificanti se ne renderanno conto.
Almeno spero.
Per ora il tempo disegna il corridoio, e gli avvoltoi si affrettano a portare mattoni e cemento…
e ogni tanto filo spinato…
 
 
"The Grey Man Dances" by George Grosz 1949
 
Un giorno, qualcosa, cambierà.
 
 
 
 
 
 
 
 
Ps il titolo particolare, e il testo particolare, sono tratti da uno dei miei album preferiti…solo una precisazione…

Multimasking

Pubblicato: 26 gennaio 2009 in Riflessioni di una vita vissuta
 
Salve, mi presento, il mio nome è Marty. Io ho un grosso problema.
Ogni mattina, come chiunque altro, mi sveglio e mi affaccio nella mia vita. Ma il mio problema risiede proprio lì, in questa azione così semplice. Ogni mattina mi sveglio in una vita nuova. Sempre diversa.
 
Ovviamente sono sempre io, in teoria la vita sarebbe sempre la stessa a prima vista, eppure mio malgrado devo rendermi conto che non è affatto così.
Ogni giorno mi alzo e mi guardo allo specchio, per riconoscermi. E devo dirvi una cosa: lo specchio racconta frottole. In effetti è tutta una questione di elettrolisi, ma a parte ciò deve esserci anche qualcos’altro.
Io sto attento a tutti i particolari, all’attaccatura dei capelli, la disposizione della barba, se il mio naso è ancora come ieri, il colore dei miei occhi, e annoto a mente le piccole, fisiologiche variazioni.
Quello sono io mi riconosco! Proprio ieri mattina ero uguale alla figura che sto vedendo ora in quello schermo riflettente. Ma l’unica spiegazione è che è proprio lo specchio a mentire. O altrimenti è il mio viso…Già, potrebbe essere sua la colpa, del mio viso, del mio corpo: di mattina allo specchio vedo sempre la stessa persona, il Marty che conosco, mentre durante il giorno "assumo" varie forme, figure differenti, che non posso controllare.
 
 
Qualunque cosa sia ogni giorno vivo una vita diversa. Anzi, ogni giorno vivo tante vite ognuna differente dalle altre.
Come vi dicevo, ogni mattina apro gli occhi e mi riconosco. Il solito stupido assonnato che non sa andare a letto presto. Svolgo tutto ciò che ogni giorno faccio, colazione, canonico caffè, lavo i denti e la faccia, mi riguardo allo specchio, ancora, magari l’acqua potrebbe aver tolto un primo strato, una prima maschera, eppure non noto niente di nuovo, nonostante i miei occhi siano stati chiamati all’attenti da quell’acqua congelata che entra nei pori della pelle.
Mi vesto, sempre tenendomi d’occhio, non sia mai che qualcosa dovesse cambiare mentre infilo i pantaloni o il maglione. E continuo a fissarmi allo specchio dell’ascensore una volta fuori di casa, poi nei tanti specchietti dell’auto. A uno sguardo poco attento potrei sembrare vanitoso, eppure no, sono solo preoccupato e un po’ curioso, solo vorrei capire cosa mi succede durante il giorno.
 
 
Una volta a lavoro il circo può iniziare: le mie mille arti, sconosciute solo e soltanto a me, cominciano a manifestarsi, e gli spettacoli si susseguono negli occhi di chiunque si ritrovi sul mio cammino.
"Ehi sei ingrassato eh?" non è un buon inizio, ma questo non è motivo di demoralizzazione, dato che la seconda persona che mi vede esclama subito l’opposto, e anzi arrivato alla terza persona soltanto sono già divenuto deperito, magro da fare schifo e cose di questo genere. Dovrei preoccuparmi a questo punto? Nessun problema, una volta incontrati altri due colleghi che ciarlano tra loro, sono pronto a mostrare un altro me ancora "cavolo, sei in forma!" "eggià, non sapevo ti fossi iscritto in palestra!". Ed è anche normale non saperlo quando non l’ho fatto.
 
Arrivato al mio piano, mentre mi dirigo al mio ufficio, lì le mie presunte trasformazioni cominciano a sbizzarrirsi, trasformandomi in un pregevole Picasso in continuo mutamento.
I miei capelli più chiari, i miei occhi più scuri del solito, tutto cambia di colpo e torna a cambiare ancora dopo pochi istanti. Pareri, direte voi. Eppure non è così, per forza di cose: non è possibile che ogni giorno così tante persone, i miei colleghi, professionisti come me, cambino in continuazione quel loro "parere". La colpa, a questo punto, deve essere mia.
Anche perché poi, quando notano qualcosa comincio a sentirmelo addosso, comincio a notarlo anche io.
 
Per farvi capire: una volta mi ritirai a casa con tre nasi differenti, uno storto verso sinistra, l’altro verso destra, l’altro più lungo del solito. Un’altra volta ancora, mi sentivo grasso e palestrato, con un occhio verde e due occhi "più celesti del solito". Eppure sulla carta d’identità avevo scritto "marroni". Ah, quella volta avevo anche i capelli di colori differenti, da un lato biondo chiaro, dall’altro nero, dietro invece il mio solito castano chiaro (ma forse lo dicevano per consolarmi, dato che dopo i risultati discordanti avevo chiesto conferma a qualcun altro). Per non parlare di quella volta che mi ritrovai in un sol colpo con i capelli molto lunghi e allo stesso tempo molto più corti del giorno prima, eppure io mi ero limitato a dormire, non avevo di certo fatto un salto dal barbiere nè fatto uso di uno di quei prodotti che garantiscono crescite miracolose.
 
 
E le mie giornate passano così, io mi limito semplicemente a vivere, gli altri sono, poveri loro, costretti a svelare i mille esseri che popolano me stesso, il mio corpo, oramai divenuto una sorta di foresteria del mio cervello. E gli esempi potrebbero andare avanti per molto, moltissimo tempo, dato che ogni giorno, da anni a questa parte, passo intere ore di lavoro cambiando in continuazione faccia e corpo sotto lo sguardo vigile di tutti gli altri.
Eppure questa mio sorta di arte soprannaturale è anche abbastanza subdola da non cambiarmi tanto da rendermi irriconoscibile. Insomma, farebbe comodo non essere riconosciuti quando una di quelle trasformazioni mi rende, diciamo così, poco appetibile. Ma invece niente, gli altri riescono sempre e comunque a riconoscermi.
Io ho migliaia di facce, centinaia e centinaia di corpi differenti, eppure sono sempre e solo io. Ma non sono il solo a dirlo, anche gli altri riescono ad identificarmi in quella selva di visi che mi appartiene.
 
Questo è il mio problema. Questo è il mio dramma. Vi sembrerà cosa da poco, o forse penserete che potrei anche sfruttarlo a mio favore, ma non è possibile, ve l’ho detto, le mie tante trasformazioni sembrano esserci solo per prendersi gioco di me, solo per far sorridere chi mi è vicino…
Eppure un giorno, fosse l’ultima cosa che faccio, riuscirò a trovare una spiegazione, riuscirò a capire qual è il mio segreto, o qual è il segreto dello specchio. Dovessi anche romperlo, anche a costo di prendermi tutte le maledizioni connesse. Ma se fosse quella la soluzione, dovrei anche cavare gli occhi di chiunque dovesse avere la sfortuna di guardarmi…oh no, deve esserci un’altra soluzione…devo essere io il problema…deve essere in me…
 

All Apologies

Pubblicato: 4 gennaio 2009 in A Life

Ebbene, direi che sono d’obbligo le scuse dopo tanta assenza, per quanto, al solito, non sia affatto colpa mia…
In fondo ho sempre saputo che i miei lettori sono quei cinque amici, e il blog è diventata una cosa intima tra me e loro (e quei pochissimi lettori occasionali che di solito finiscono sul mio blog tramite i post "incazzati", facendo una ricerca di parolacce su google…vedi un po’ che fama ti porta un semplice "fanculo" Caldo): quindi non dando segni di vita per così tanto tempo è in effetti una brutta cosa, e perdere anche qualcuno di quei cinque lettori semi-fissi non sarebbe proprio il massimo della vita…
 
E dunque, passo di qui per augurarvi buone feste in estremo ritardo (ma vabbè, finché non passa l’epifania sono ancora in tempo!!!), per mandare affanculo (serve sempre sta parola, avete capito no?!) quel maledettissimo 2008 e salutare questo 2009, sperando bene, sperando che vada "come dico io".
Giuro inoltre che quest’anno cercherò di essere più presente anche qui sul blog, con più post.
Anzi, come già dissi a qualcuno, sto per finire un racconto (quello che ha per prologo i 5 giorni di "between dreams and insomnia" per intenderci), lo tenevo "in consegna" per fine gennaio e lo avrei messo subito qui sul blog…se solo il pc vecchio, per ora l’unico pc di casa giù, non avesse deciso di fondersi (s’è bruciato il bios…bella storia…).
Ora ben due capitoli di racconto sono intrappolati nel suo hard disk, quindi mi sa che nel frattempo a Siena finirò il racconto, e poi prenderò i due capitoli persi a Pasqua, quando tornerò e metterò a posto il pc…quindi per quello pazientate ancora un po’ (ma so che ci riuscirete bene Caldo).
Intanto, preparo nuovi post, finisco vecchi progetti (chissà che non sia l’anno buono…), ma soprattutto, cerco il tempo per fare tutte queste cose in mezzo agli esami…e magari chissà, si troverà anche il tempo di creare quei blog "a più ampio respiro", ma forse nemmeno quelli se ne parlerà quest’anno…ma vediamo!!!
 

"Ah! Ti prego, non ucciderci! Ti prego, ti prego, non ucciderci! Lo sai che ti amo, baby! Non ti volevo lasciare! Non è stata colpa mia!"
"Che bugiardo schifoso! Credi di riuscire a cavartela così? Dopo avermi tradito?"
"Non ti ho tradito. Dico sul serio. Ero… rimasto senza benzina. Avevo una gomma a terra. Non avevo i soldi per prendere il taxi. La tintoria non mi aveva portato il tight. C’era il funerale di mia madre! Era crollata la casa! C’è stato un terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette! Non è stata colpa mia! Lo giuro su Dio!"

 
Aloha…!

"Legge di Palmieri sul tempo libero:

La sfiga è direttamente proporzionale alla quantità di tempo libero che un individuo può avere a disposizione in un determinato periodo.

Corollario di Freeman:

Quanto più tempo libero avrai per uscire, divertirti, e qualunque cosa tu abbia voglia di fare, tante più sfortune ti capiteranno una volta fuori; in un periodo in cui sarai costretto a casa per impegni seri e faticosi noterai che uscendo anche solo un istante da casa più di una circostanza andrebbe a tuo favore.

Peccato che non avrai il tempo di sfruttarla…"

 

 

Forse l’inizio di una nuova rubrica? Beh, potrebbe proprio darsi di si, dato che è già simpatico leggere le leggi di Murphy originali (ne ho scoperta una ieri che è fenomenale, balzata subito tra le mie preferite: "tutto suda" Caldo ), provare anche a scriverne alcune non è niente male…

E dato che sono un esempio lampante della veridicità di queste leggi, visto che solitamente mentre respiro si verificano circa 5 o 6 di quei favolosi teoremi, chi meglio di me potrebbe provare a formularne qualcuna??

 

 

 

Questa piccola perla di cacca che è la "legge di Palmieri" con il suo corollario (capito il nome del corollario si? Caldo ) in particolare l’ho tirata fuori proprio ieri pomeriggio, giornata di studio matto e quelle cose lì, dopo essere uscito un attimo soltanto…e stranamente, in tal caso, nessuna sfiga: vi sembrerà strano, ma una serie di circostanze più che fortunate e piacevoli si sono a dir poco rincorse…e questo, insieme al mio pochissimo tempo a disposizione in questo periodo, m’ha dato da pensare…et voilà!

 

 

Aloha, e al prossimo "assunto", sperando ce ne saranno ancora in futuro…ma viste le mie disavventure, mi sa che diventerà facilmente un appuntamento fisso!!!

In Empty Phrases

Pubblicato: 1 dicembre 2008 in Looking through the Mirror
Siamo.
 
Siamo completi, finiti. Uno.
Siamo chiusi, impenetrabili a ciò che è all’esterno. Perfetti.
Siamo sfere d’acciaio che cadono e rimbalzano sugli infiniti gradini del tempo. Ogni tanto li intacchiamo, lasciamo il nostro segno. Poi continuiamo dritti. Continuiamo a scendere fino alla fine.
 
"il bello di quando si è malati sono i momenti di pausa, possiamo osservare chi ci sta intorno con occhi diversi, possiamo guardare chi ci sta dando una mano o chi ci sta cinicamente ignorando da un punto di vista differente, orizzontale.
Ho notato che quando ho da fare una flebo c’è un momento davvero particolare: non appena l’ago buca la vena, e il sangue sale lungo il tubicino, poi la soluzione scende e riporta tutto al suo posto, e senti la vena e il braccio rinfrescarsi di colpo. Subito dopo quel momento, quando si rimane da soli con un tubo che infonde liquidi e altro nel nostro corpo, ho provato a chiudere gli occhi. Quello è il momento magico.
Sarà per lo stato in cui ci si trova, sarà per la situazione particolare nella quale siamo costretti, fisicamente e mentalmente. Non so quale sia la causa precisa.
Ma una volta chiusi gli occhi la sensazione dello spazio viene come a mancare, e si sente il corpo che vaga, gira come se si trovasse su di un ottovolante, invece che fermo immobile a letto.
Come una foglia che cade e si lascia sfiorare dal vento, che la porta su e giù, questo potevo sentire, come se ogni mio apparato adibito all’equilibrio si fosse spento, di colpo.
E da fermo giravo a destra e a sinistra, per poi finire a testa in giù, per caso o anche volutamente. E l’assurdo era sentire quella sorta di vuoto all’addome, come se stesse accadendo tutto per davvero. Eppure svaniva tutto, solo aprendo gli occhi."
 
 Siamo
 
Siamo fragili, cadiamo in pezzi per una semplice parola.
Tutto ci penetra: il mondo esterno entra con le sue radici nel nostro essere facendo spesso svanire i confini che prima delimitavano la nostra intimità e ciò che è cosa pubblica.
E quelle radici tante volte ci fanno male, si avvinghiano tenaci cercando di intaccare le fondamenta delle nostre strutture più nascoste, abbattendo i muri che separano i nostri segreti dalle nostre labbra, e mettendoci a nudo davanti agli altri, utilizzando anche mezzi subdoli.
Siamo sfere d’acqua, e goccia su goccia cresciamo. Scorriamo sui gradini della infinita scala del tempo e siamo quindi costretti a proseguire in pezzi, ma rimaniamo sempre uniti, come un ruscello che timido e silenzioso continua però imperterrito nella sua marcia.
Nel nostro tragitto non potremo mantenere la nostra figura perfetta di sfere, ma il contenuto rimane lo stesso a dispetto della forma.
E no, non intacchiamo i gradini del tempo, forse solo alcuni di noi ma con tantissima fatica e perseveranza. Proprio come un ruscello caparbio…
 
"Nessuno sa provare dolore quanto un genitore che soffre seriamente per il proprio figlio. D’altronde, niente e nessuno ci amerà come fanno i nostri genitori. Ed anche quel loro dolore si caratterizza in un modo particolare, che si tratti di quello paterno o di quello materno.
Il dolore di un padre è una sensazione prettamente maschile, un uomo che cerca di colmare un vuoto dando un significato a quel che prova. Il dolore maschile, in particolare quello di un padre, è verboso, prolisso, poetico. Deriva in fondo da tutto ciò che ha vissuto…
Il dolore di una madre è differente. I circa nove mesi di buio vissuti all’interno di quell’essere umano creano probabilmente un legame particolare tra un figlio e la sua madre. Il dolore di una madre è viscerale, diretto, nascosto a lungo e si esprime in modo acuto, ma raggiungendo picchi inarrivabili da qualunque altra cosa. Se si manifestasse sotto forma di un suono tenderebbe a divenire cacofonico ma allo stesso tempo riuscirebbe a toccare corde tanto delicate in noi da farci venire i brividi.
Se fosse un gesto sarebbe un colpo fortissimo all’addome, eppure tutto ciò che riusciremmo a provare dopo questo colpo sarebbe compassione.
Ma in qualunque modo si presenti esso sarà acutissimo, più breve del dolore paterno ma estremamente più intenso.
E sarà comunque capace di influenzare anche il dolore paterno, che ne uscirà più grave, appesantito, più triste di prima. Come se acquisisse una nuova consapevolezza per la quale ci sia bisogno di provare ulteriore dolore.
Eppure nonostante questi sentimenti siano espressione massima di ciò che un essere umano possa provare, essi non saranno comunque puri del tutto. Anche i nostri genitori sono esseri pensanti, figure con una propria personalità. Dunque una parte di loro deve comunque tendere all’autoconservazione. Darebbero tutto per noi, ma una parte di essi, un "ultimo sforzo", tenderebbe a fare gli interessi propri, e non altrui, per quanto possiamo essergli vicini.
Non tutto è quello che sembra."
 
 
Siamo, comunque.
Siamo indefinibili. Siamo tanti, troppi, anche quando siamo assorti nei nostri pensieri. Siamo indecisi. Colui che sembra il più sicuro di sè è proprio il più indeciso, il più debole. In fondo siamo tutti uguali. I conigli vengono cacciati da animali più grandi, che incutono timore. Ma in fondo anche i tori vengono uccisi in pubbliche piazze, da un ometto con un semplice spadino e qualche spiedo appuntito.
E ci nascondiamo. Ci nascondiamo spesso dietro frasi vuote ma di bell’aspetto. Quanti di noi si innamorano di versi così ammalianti eppure così insensati? Ci commuovono, ci rallegrano, li riempiamo di significato. Ma spesso non vogliono dire un bel niente. Siamo inutili. Eppure fondamentali…
 
"Solo perché parliamo non vuol dire che possiamo porci al di sopra di ogni forza della natura. Il fatto che siamo capaci di scrivere non ci pone a comando dell’universo intero. Basta anche vedere quello che molti dicono, o che scrivono. Noi siamo solo un ingranaggio. Niente di più niente di meno. E forse nemmeno uno di quelli che funziona bene.
Non abbiamo alcun diritto di decidere per gli altri; se a volte lo facciamo è solo perché ci stiamo rendendo conto che possiamo decidere molto poco anche di quello che abbiamo intenzione di fare noi stessi.
E ci vantiamo della nostra capacità, rispetto a tante altre forme di vita, di avvicinarci a soggetti della nostra specie in modo così facile. Solo grazie al linguaggio. Ma pensiamoci, quante persone conosciamo? Conosciamo nel vero senso della parola, intendo. Diciamo la verità. In fondo è così difficile conoscere noi stessi che a volte rimaniamo sbalorditi di quello che facciamo, sia in bene che in male.
Gli animali pensano a loro stessi, alla loro sopravvivenza e quindi a procacciarsi il cibo, a difendere il loro territorio o quantomeno la loro semplice figura.
Noi non facciamo niente di più. Solo che lo facciamo con atti più ampollosi, più fastosi."